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Davide Sparti – Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz – 2007

Davide Sparti
Torino, Bollati Boringhieri, 223 pp., Euro 17,00

Anno di pubblicazione: 2007

Non una storia del jazz, ma una storia culturale del jazz; non una disamina dei jazzisti (con i loro tic e le loro manìe), né una traccia dei percorsi musicali, ma l’insieme di concezioni, discorsi, racconti che hanno delineato il fenomeno culturale che chiamiamo jazz. Analizzando la messa in discorso che concerne tale fatto culturale, l’a. individua quattro orizzonti in cui si condensano le principali retoriche del jazz: esse hanno a che fare ora con «il primitivo», ora con «il moderno», ed ancora con «il politico» e con «lo sperimentale».Il discorso primitivista si fonda sull’idea che la cultura nera resta irriducibilmente estranea alla civilizzazione europea e dunque il jazz rimane un’espressione musicale inferiore, selvaggia, istintuale, ma anche esotica e dalle sonorità altre. L’investimento del corpo, come corpo vibrante e produttore di suoni – argomento che l’a. sviluppa in un lavoro immediatamente successivo (Il corpo sonoro, Bologna, il Mulino, 2007) – costituisce un altro pilastro della costruzione del jazz come genere musicale primitivo.Il discorso modernista coglie un processo di trasformazione che ha visto il jazz divenire in parte anche un prodotto condizionato dall’industria musicale e quindi dalle regole del mercato e del consumo, a cui – però – i musicisti afro-americani hanno reagito rielaborando creativamente ciò che via via fu loro imposto. La musica afro-americana risponde, infatti, con la pratica del signifying: i motivi imposti dall’industria musicale vengono sì acquisiti, ma poi riadattati, beffeggiati, dunque ricreati.Il discorso politico ci rimanda ad una relazione complessa tra l’emergere del free jazz, e dunque l’affermarsi – in termini nuovi – di una certa libertà dalle convenzioni musicali, e i movimenti per i diritti civili degli anni ’60: in gioco sono le diverse concezioni della libertà che riguardano non tanto la critica alla disciplina imposta, quanto le possibilità che talune regole possano offrire per sperimentare più ampie forme di creatività e più compiute libertà politiche.Il discorso sperimentalista rinvia, infine, alle relazioni tra il jazz e le più diversificate pratiche collettive di avanguardia culturale: sono infatti alquanto radicati, e databili almeno a partire dagli anni ’20 del ‘900, i nessi tra le tecniche di improvvisazione musicale con le sperimentazioni visive surrealiste ed ancora con le avanguardie letterarie.Filo rosso dell’intero volume è l’attivazione di un processo identitario per gli afro-americani che ruota proprio attorno all’esperienza del jazz: esso è infatti profondamente legato alla storia della deportazione nelle Americhe, ma soprattutto all’incontro di etnie diverse che le migrazioni stesse mettono in contatto; non un’identità escludente, omogenea, connessa a profili etnici definiti, ma aperta a continue ibridazioni e contaminazioni.Un bellissimo e compiutissimo esempio di storia culturale, firmato da uno studioso valente e poliedrico.

Vinzia Fiorino