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Dire la rivoluzione. Lessico e fraseologia nel decennio postrivoluzionario

Paola Cotta Ramusino
Milano-Udine, Mimesis, 101 pp., € 10,00

Anno di pubblicazione: 2018

Composto di tre capitoli che contengono un’esemplare analisi lessicografica e linguistica (Tratti generali della lingua rivoluzionaria, La fraseologia rivoluzionaria, Fraseologia e metafora), oltre che un’accurata sintesi del problema affrontato negli studi precedenti e contemporanei (Uno sguardo d’insieme), il volume presenta un interesse di grande rilievo per lo storico, che si trova spesso a disagio nel connettere i risultati «tecnici» delle inchieste lessicografiche, semantiche e linguistiche con i propri studi. La particolarità del lavoro sta nel fatto di partire dal corpus delle classiche ricerche degli anni ’20, dalle indagini empiriche condotte dai protagonisti di quella stagione di eccezionale vigore intellettuale, per arrivare agli studi attuali con risultati sempre più avanzati per una comprensione globale della cultura russa nel decennio successivo alla Rivoluzione d’ottobre.
Il «grande protagonista» del capitolo sui tratti generali della lingua rivoluzionaria è il lessico: una specie d’invasione di parole nuove, sigle e composti nel patrimonio linguistico del russo che resteranno in gran parte inamovibili. Il capitolo sulla fraseologia rivoluzionaria è certamente quello che può massimamente giovare allo storico (ed è dal punto di vista dello storico che guardiamo a questo lavoro), posto di fronte alle fonti che trova nella letteratura giornalistica e di propaganda. Non ci riferiamo solo alla risposta, estremamente chiara, alla domanda d’avvio («Che cos’è la fraseologia?») congegnata con le teorie avanzate dagli studiosi degli anni ’20 insieme alla formazione di un corpus di frasi che si appropriano della lingua e la condizionano mentre il processo è ancora in corso. Ci riferiamo anche alla sistemazione di un dispositivo che facilita il passaggio all’ultima sezione del libro. Qui i paragrafi 4.2 (Metafora della guerra) e 4.3 (Il Partito) sono ricchi di esempi di straordinaria efficacia sul processo d’incremento di «enunciati resi possibili dalla corrispondenza tra due domini» (p. 74). Particolarmente suggestivi, per dare conto del processo di strutturazione metaforica del Partito, sono i diversi frames dai quali avviene il prelievo degli enunciati (difesa, manifattura, lavoro, esercito, arti).
La riflessione parte da una preoccupazione dei linguisti del tempo sul «pericolo», per la rivoluzione, di «trasformare il russo in una lingua svuotata di significato». Grigorij Vinokur, l’autore geniale de La cultura della lingua (1925), toccava – scrive l’a. – «un punto centrale», quello del «rapporto tra lingua e pensiero». Se infatti «utilizziamo espressioni prive di senso, anche il nostro pensiero perderà di senso» (p. 67). Le brevi Conclusioni sono un omaggio a un altro fondatore del discorso sulla Lingua dell’epoca rivoluzionaria (1928), Afanasij Seliščev, la cui opera è stata ripubblicata nel 2010 e che «meriterebbe un’opera di selezione, verifica e classificazione, anche attraverso il confronto con i testi contemporanei, per portare a un vero e proprio compendio della “lingua della rivoluzione”» (p. 91). Speriamo che l’a. ci offra questo nuovo contributo.

Antonella Salomoni