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Dittature mediterranee. Sovversioni fasciste e colpi di Stato in Italia, Spagna e Portogallo

Giulia Albanese
Roma-Bari, Laterza, 225 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2015

Dopo una serie di studi centrati sul caso italiano, Giulia Albanese presenta qui un’attenta
sintesi della storia politica italiana, spagnola e portoghese del secondo e del terzo
decennio del ’900. Dittature mediterranee analizza infatti la crisi dello Stato liberale e il
percorso verso la dittatura dei tre paesi dell’Europa meridionale, partendo dal nodo cruciale
della Grande guerra e giungendo fino alla seconda metà degli anni ’20.
Diviso in quattro capitoli cronologici – la guerra, il dopoguerra, la conquista del potere,
la stabilizzazione delle dittature –, il volume, che si avvale delle preziose fonti dell’Archivio
segreto vaticano, prende in considerazione soprattutto l’evoluzione istituzionale
dei tre paesi e il ruolo della violenza politica e dell’azione paramilitare. Secondo l’a., il
peso della violenza, considerata il «motore della trasformazione politica e istituzionale» (p.
XXI), e la brutalizzazione della politica sono fondamentali per comprendere la crisi delle
democrazie liberali di Italia, Spagna e Portogallo, così come il ruolo giocato dalla guerra
«nel definire le forme e i linguaggi dello scontro politico» (p. 19).
Nonostante riconosca le differenze esistenti nei tre contesti nazionali – dalla forma
di governo alla partecipazione nel conflitto, alla composizione del gruppo dirigente nel
golpe –, l’a. sottolinea anche le forti analogie presenti, come la riorganizzazione nel dopoguerra
dell’area conservatrice non solo contro il movimento operaio, ma anche «contro
lo Stato e le istituzioni liberali» (p. 106), o «la diffusa sfiducia nelle capacità di governo
delle istituzioni liberali» (p. 173) nel momento della Marcia su Roma dell’ottobre 1922,
del colpo di Stato di Primo de Rivera in Spagna nel settembre 1923 e del golpe militare
in Portogallo nel maggio 1926.
Secondo l’a., le tre esperienze dittatoriali che ne scaturirono si presentarono, in modi
e forme diverse, come progetti di «restaurazione dell’onore e della dignità della nazione»
e della sua rigenerazione (p. 180), per quanto ebbero poi evoluzioni diverse. E sarebbero
«una delle possibili vie [della] restaurazione del potere della borghesia europea» (p. 214)
negli anni ’20, seguendo l’intuizione di Charles Maier. Ossia, un progetto di rifondazione
borghese e di «stabilizzazione autoritaria» (p. XIII) dopo lo sconquasso della guerra.
L’a. rimarca poi l’interesse internazionale per l’esperienza fascista italiana e gli elementi
di imitazione presenti fin da subito in Spagna e Portogallo, riconoscendo che l’ascesa
al potere di Mussolini fu «un vero e proprio spartiacque» (p. XIII) nell’Europa degli
anni ’20 e che il fascismo rappresentò «una spinta molto forte […] all’elaborazione di
progetti eversivi di colpo di Stato» e un «modello completo» (p. 177) sia dal punto di vista
delle tecniche che da quello dell’orizzonte ideologico.
Nel complesso, dunque, si tratta di un’opera estremamente utile, che permette di ripensare
da una prospettiva comparata e transnazionale una congiuntura chiave del ’900.

 Steven Forti