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Domizia Carafòli e Gustavo Bocchini Padiglione – Ettore Muti. Il gerarca scomodo – 2002

Domizia Carafòli e Gustavo Bocchini Padiglione
Milano, Mursia, pp. 212, euro 14,50

Anno di pubblicazione: 2002

Non deve esser stato facile ricostruire la vita di un uomo il cui curriculum ?si riduceva essenzialmente a un elenco di decorazioni? (p. 126) quando nel 1939, a trentasette anni, raggiungeva il punto più alto della sua carriera, la segreteria del partito nazionale fascista. Non avrebbe voluto quella carica. Gli appariva un incarico burocratico, sedentario e privo di attrattive perché lui, Ettore Muti, voleva solo azione violenta e guerra. Le aveva cercate fin dall’adolescenza, quando aveva tentato più volte di andare al fronte ed era riuscito a farsi inquadrare negli arditi, per essere rispedito a casa dai carabinieri perché troppo giovane; erano venuti poi i giorni di Fiume, esperienza ?esaltante e irripetibile? sotto gli occhi di Gabriele D’Annunzio; e infine le risse sanguinose nella furibonda guerra civile romagnola. Negli anni successivi, sposatosi e abbandonate moglie e figlia, resta parcheggiato, come la maggioranza dei componenti le squadre d’azione fasciste, in un limbo di incarichi privi d’importanza dalla cui mediocrità si riscatta con una intensa attività di seduttore, che gli frutta un figlio da una affascinante signora spagnola; la quale poi s’invola misteriosamente per essere da lui nuovamente incontrata solo anni più tardi. Ritrova la temperie a lui cara con la guerra d’Etiopia, dove mette a frutto le sua abilità di pilota e di guerriero bombardando e massacrando le popolazioni abissine, come documentano senza infingimenti gli autori. Non è solo nelle imprese da Maramaldo: gli sono compagni il fior fiore del Partito nazionale fascista, da Ciano a Vittorio Mussolini a Starace. Alle medaglie così mietute aggiunge poi quelle che guadagna nella guerra di Spagna. L’elenco delle decorazioni che Mussolini contempla nel 1939 prima di affidargli la segreteria del PNF è dunque nutrito; ma resta misterioso per qual motivo il duce abbia scelto proprio un uomo certamente privo di ogni pensiero. La permanenza di Muti alla segreteria non ha nessuna rilevanza, se ne va presto senza rimpianti; e senza che nessuno lo rimpianga. Gli anni di guerra gli fruttano ancora imprese rocambolesche e gloriose, nuove medaglie e citazioni. Ma anche lui intanto si era stancato di Mussolini, ne vedeva i limiti e la pochezza; non fa una piega davanti al colpo di Stato. Per nulla diverso dagli altri gerarchi, non sembra intenzionato a sacrificarsi per il capo decaduto. E’ tuttavia un simbolo per la mediocre esemplarità della sua figura: e in circostanze misteriose, a cui gli autori aggiungono ombre e sospetti, viene ucciso dalla polizia di Badoglio e presentato all’opinione pubblica come il leader di un potenziale colpo di stato fascista. Calunnie, come in sostanza la storiografia ha sempre sostenuto, avendo intuito in quell’azione di Badoglio un miserabile mezzuccio per accreditare il governo militare presso quanti paventavano un ritorno del regime. Se non fosse stato per questo, la vita di Muti sarebbe apparsa il paradigma dello squadrista violento ed emarginato; un uomo insomma del tutto integrato al regime, un gerarca a cui sembra davvero impossibile attribuire quell’aggettivo ?scomodo? che campeggia nel titolo.

Luigi Ganapini