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Duccio Basosi – Il governo del dollaro. Interdipendenza economica e potere statunitense negli anni di Richard Nixon (1969-1973) – 2006

Duccio Basosi
Firenze, Polistampa, 250 pp., euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2006

La scelta effettuata nell’agosto 1971 dall’amministrazione statunitense di sospendere la convertibilità del dollaro in oro «fu un ingrediente primario del processo che Richard Nixon mise in opera tra il 1969 e il 1973, di superamento di una drammatica fase di declino degli Stati Uniti» (p. 21). È questo l’assunto centrale del volume. L’autore sottolinea con forza il carattere strategico della politica economica internazionale seguita dall’amministrazione Nixon, prendendo le distanze sia dalle analisi che mettono l’accento su un presunto disinteresse del presidente nei confronti delle questioni economiche, sia dalle interpretazioni fondate sul carattere necessitato e contingente di decisioni che si vorrebbero compiute nella morsa di una crisi esogena, rilevando invece come esse fossero state concepite nel quadro di una politica tesa alla ricerca del maggior grado di «autonomia nell’interdipendenza» (p. 194), che mirava a rompere i vincoli che gli impegni assunti a Bretton Woods imponevano alla superpotenza, in vista di un recupero della leadership, se non dell’egemonia, sul campo occidentale.L’analisi si sviluppa lungo l’arco dei cinque anni compresi tra l’insediamento dell’amministrazione repubblicana e il 1973, anno che vide l’accantonamento definitivo del sistema dei cambi fissi. La solidità della base documentaria del volume, frutto di una ricerca pluriennale condotta principalmente presso archivi statunitensi, consente a Basosi, oltre che di sostanziare in modo convincente la sua ipotesi principale, di far emergere alcune tematiche di grande interesse. Ad esempio, si evidenzia come il superamento del sistema dei cambi fissi non fosse da ascrivere solo ad una logica di pura politica di potenza, ma rispondesse anche a pressioni provenienti dalla business community interna che mal sopportava i controlli sui flussi di capitale istituiti dall’amministrazione Johnson nel tentativo di porre un freno alla crisi della bilancia dei pagamenti. Inoltre, emerge con grande forza dal libro la profonda crisi delle relazioni transatlantiche, con un’amministrazione statunitense sempre più irritata, quando non ostile, soprattutto nei Dipartimenti economici, nei confronti di una Comunità Europea vista sempre più come un pericoloso concorrente economico e un ostacolo, data la sua difesa del sistema dei cambi fissi a protezione del Mercato comune e della PAC, sulla via della rescissione dei lacci che tenevano avvinto il Gulliver statunitense ad un sistema monetario ritenuto ormai dannoso per gli interessi del paese. Al fondo si trattava per Nixon di risolvere la dialettica tra le esigenze derivanti dal ruolo di leader del blocco occidentale, che richiedevano di ricercare una soluzione concertata con i partner, e la difesa dell’interesse nazionale o, meglio, di interessi nazionali. In quale senso fu risolto il dilemma è ben evidenziato dalle parole di John Connally, segretario al Tesoro, figura chiave nel far prevalere all’interno dell’amministrazione l’opzione unilaterale: «I nostri amici ci vogliono fregare; il nostro compito è quello di fregarli prima» (p. 145).

Francesco Petrini