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Elio, l’ultimo dei Giusti. Una storia dimenticata di resistenza

Frediano Sessi
Venezia, Marsilio, 160 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2017

Elio Bartolozzi è un contadino toscano appena ventenne allo scoppio della seconda guerra mondiale: esonerato dal servizio militare a causa di un difetto all’occhio, rimane a lavorare nei campi con la famiglia, nelle campagne intorno a Firenze. Anche «chi come Elio non voleva badare alla politica, pur non avendo simpatie per i tedeschi e i fascisti» (p. 11), con l’arrivo della guerra civile è costretto a fare delle scelte.
Una notte dell’aprile 1944, accompagnati da un contadino, vengono a bussare alla sua porta dei partigiani, rimasti feriti dopo un’incursione contro i fascisti nella vicina stazione dei treni. Elio accetta, senza troppo indugiare, di portarne in salvo due con i suoi buoi in una cascina poco lontana, convinto di «compiere un atto che si doveva assolutamente fare» (p. 25). Appena rientrato a casa viene arrestato, denunciato dallo stesso contadino che aveva condotto i partigiani da lui: torturato, non parla. Inviato prima al campo di Fossoli e poi a Bolzano-Gries, è deportato a Mauthausen e infine a Gusen, dove patisce le violenze dei lager nazisti. Tornato in Italia, riprende il suo lavoro senza mai denunciare chi lo aveva tradito. Aderisce all’Aned e all’Anpi, ma nessuno intende ricordare il gesto che ha compiuto durante la guerra: il suo nome non compare nemmeno sulla targa a ricordo di quell’azione partigiana dell’aprile 1944. Eppure, ne era stato «parte attiva», «perché porta in salvo, a rischio della sua vita, due uomini feriti» e «se avesse parlato, anche altri sarebbero morti» (p. 104).
Rivolto anche a un pubblico non specialistico, il libro ripercorre, come fosse un romanzo, la storia di Elio: dalla «scelta» di aiutare i partigiani, alle sofferenze della prigionia, fino alle vicende del dopoguerra. Ad ispirare l’a. è il memoriale redatto dal protagonista pochi mesi dopo essere tornato dai lager, rimasto per anni in un cassetto e pubblicato solo nel 2014. La vicenda offre lo spunto per una riflessione sulla Resistenza, sulla sua memoria e sui valori che questa rappresenta ancora oggi: quella Resistenza combattuta con le armi dai partigiani, ma «impossibile in sé senza la più ampia e sconosciuta […] resistenza civile, quotidiana di tanti uomini e donne per bene, che si sono rifiutati di adeguarsi alla cultura della violenza e dell’indifferenza fascista» (p. 150). Uomini come Elio furono dimenticati dalla memoria ufficiale e istituzionale dell’Italia repubblicana, nonché per anni dalla storiografia, ma sono portatori di valori ancora necessari. L’altruismo e la solidarietà dimostrati per tutta la vita, anche nei momenti più duri e difficili nell’inferno dei lager, portano l’a. ad estendere a persone come Elio la definizione di «Giusto», solitamente riferita a coloro che, non colpiti dalla persecuzione, salvarono gli ebrei dagli arresti e dalle deportazioni mettendo a repentaglio la propria vita. Questo contadino rappresenterebbe così uno dei «grandi testimoni del nostro tempo, che hanno illuminato con la loro vita le notti buie della storia passata e che continuano a gettare una luce decisa anche sul nostro presente» (p. 126).

Matteo Stefanori