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Emilio Franzina, Matteo Sanfilippo (a cura di) – Il fascismo e gli emigrati. La parabola dei Fasci italiani all’estero. 1920-1943 – 2003

Emilio Franzina, Matteo Sanfilippo (a cura di)
Roma-Bari, Laterza, pp. 200, euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2003

La raccolta di saggi curati da Emilio Franzina e Matteo Sanfilippo disamina in maniera utile il rapporto tra fascismo ed emigrazione e tocca i nodi dell’uso e dell’immagine data dal regime a quelli che battezza con il termine, oggi tornato in voga, di ?italiani all’estero?. È un tema di studio non nuovo (si pensi ai lavori di Enzo Santarelli e di Emilio Gentile) ma importante, che permette sia di esaminare alcuni aspetti ideologici del fascismo, sia di soffermarsi sul rapporto tra questo e le comunità emigrate.
Mussolini giunge al potere quando la curva migratoria internazionale tende rapidamente a scendere, dopo i picchi d’inizio secolo. Ciò è funzionale al regime. Se questo vede, nelle masse disperate in partenza, un pessimo biglietto da visita per l’immagine dell’Italia che il duce vuole proiettare all’estero, dall’altro si avvede dell’importanza degli emigrati tanto quanto elemento di pressione verso i governi stranieri, che come modalità d’apertura di nuovi mercati. Il fascismo sviluppa quindi una politica ambigua, invitando gli italiani a non partire o a ritornare, ma anche stabilendo, attraverso i Fasci all’estero, un meccanismo di controllo sociale.
Il volume riesce nell’intento di ricostruire un quadro complessivo dell’attività dei singoli Fasci all’estero, dall’Australia al Belgio, dal Brasile ai Fasci delle colonie, cui affianca lo studio del percorso di fascistizzazione della Farnesina, ricostruito da Luca De Caprariis nel primo saggio dell’opera. In più di un caso, si veda il saggio di Stefano Luconi, che si occupa degli Stati Uniti negli anni ’30, o quello di Loris Zanatta sui Fasci in Argentina nello stesso periodo, la volontà di organizzare e strumentalizzare la comunità immigrata passò in secondo piano rispetto alla politica estera verso lo Stato ospitante. Questi studi evidenziano inoltre che anche all’estero la volontà del regime fu quella di far coincidere italianità e fascismo. In tal senso, una quota di emigrati vide con piacere l’esaltazione della patria lontana, ma il lavoro dei dirigenti locali fu più volte frustrato: l’obiettivo di controllo sociale fu spesso disatteso, sia per il fatto che nelle comunità all’estero i fuorusciti politici ebbero non di rado un ruolo rilevante, sia per l’impossibilità del sistematico uso della coercizione fisica. Tuttavia, solo il caso francese, studiato da Éric Vial, appare caratterizzato da un clima di violenza diffusa e costante tra fascisti ed antifascisti, e l’attività dei Fasci, spesso sovrapposta a quella consolare, appare utile al regime per coltivare quell’humus favorevole a questo che, in più di un caso, si estende ben oltre l’aggressione all’Etiopia.
Occorre infine segnalare che, se il sottotitolo promette di giungere al 1943, sono quasi assenti i riferimenti al periodo della guerra mondiale. Si profila così un ricco filone di studio sui Fasci all’estero al tempo della disfatta, che potrebbe estendersi a paesi come la Spagna, dove il fascismo fu, per una breve stagione, considerato un modello.

Gennaro Carotenuto