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Ennio Di Nolfo – Prima lezione di storia delle relazioni internazionali – 2006

Ennio Di Nolfo
Roma-Bari, Laterza, VII-150 pp., euro 10,00

Anno di pubblicazione: 2006

La collana laterziana delle «Prime lezioni» si arricchisce con questo lavoro di uno dei decani e dei punti di riferimento indiscussi della storia delle relazioni internazionali in Italia. Di Nolfo dedica il libro ad una indagine sui fondamenti metodologici della disciplina, iniziando con l’auspicio di un rapporto più integrato e fecondo tra storia e teoria delle relazioni internazionali e con un excursus sui problemi della spiegazione storica. Prosegue poi utilizzando un metodo storicistico, cioè tratteggiando l’evoluzione nel tempo della disciplina e presentando in questa trama i principali nodi teorici dell’approccio storico ai problemi internazionali. Descrive così la nascita di una «storia diplomatica» strettamente connessa con il definirsi di una «sfera internazionale» e con l’evoluzione tecnica della diplomazia moderna a partire dal XV secolo: la sua produzione di un particolare tipo di documentazione divenne fonte privilegiata per una serie di ricostruzioni storiche. I frutti maturi di questo periodo sono difesi da ogni detrattore, distinguendoli da un approccio ripetitivo, acritico e futile che ancora oggi è possibile («chi sceglie un tema, inconsistente nei fatti ma lungamente discusso nelle carte», a loro volta «ammonticchiate e, talora, messe in ordine cronologico», p. 45). Viene poi descritto l’allargamento del campo nel passaggio alla «storia delle relazioni internazionali», a partire dalla nota sollecitazione di Pierre Renouvin a guardare alle «forze profonde» che condizionano anche l’azione di statisti e diplomatici: DiNolfo in realtà critica una certa schematicità possibile nell’approccio del grande storico francese, ma ne segue la sostanza, tracciando un ampio orizzonte dei problemi che hanno portato ad allargare il quadro degli interessi storico-internazionali, in parallelo a una evoluzione della percezione del «sistema internazionale» stesso da parte dei suoi attori. Ecco allora emergere le questioni della rivoluzione industriale, dell’internazionalismo e in seguito del crescente ruolo del capitale finanziario, della demografia, della geopolitica, del mutamento di percezione del tempo, dell’opinione pubblica, della deterrenza. Pur considerando tutti questi aspetti, comunque, il problema dell’autore è rivendicare una specificità, che riesca a non farsi scappare di mano il bandolo della matassa, che è la relazione «tra soggetti che non si trovano all’interno del proprio confine» (p. 124). Di qui anche la polemica contro la dizione «storia internazionale», che sta prendendo piede soprattutto nel mondo di lingua inglese. L’ultima parte del volumetto tratta della sfida della contemporanea «globalizzazione» a questo approccio storiografico, per sostenere che in fondo, nonostante le novità indubbie del quadro, i problemi restano i soliti: la discussione su forme e limiti dell’egemonia americana, ad esempio. Forse in questo passaggio una problematizzazione del ruolo dello Stato come soggetto centrale del sistema internazionale non sarebbe stata però inutile. La chiusura è affidata all’acuto paradosso di Lewis B. Namier: compito dello storico resta sempre «immaginare il passato e ricordare il futuro».

Guido Formigoni