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Enzo Traverso – Auschwitz e gli intellettuali. La Shoah nella cultura del dopoguerra – 2004

Enzo Traverso
Bologna, il Mulino, pp. 250, euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2004

Si può considerare Auschwitz e gli intellettuali come l’aggiunta di un lungo capitolo de Il totalitarismo. Storia di un dibattito (Bruno Mondadori, 2002). Al centro della ricostruzione proposta da Traverso, infatti, stanno ancora quegli intellettuali tedeschi emigrati (Arendt, Marcuse e, soprattutto, Anders) che anche nel caso della riflessione sul totalitarismo si presentavano come il corpo inquieto della riflessione filosofico-politica. Auschwitz e gli intellettuali va visto anche come un omaggio a Michel Löwy ? uno dei maestri di Traverso ? di cui egli adotta e ripropone in quest’occasione il metodo di indagine.
Attento al tema della sociologia degli intellettuali e dei percorsi genealogici della loro riflessione, Auschwitz e gli intellettuali è costruito attraverso la descrizione di tipologie culturali che permettono di individuare percorsi intellettuali e modalità collettive di pensare. Auschwitz è un tema e un evento che con molta lentezza, salvo rare eccezioni, è entrato nella agenda culturale del secondo dopoguerra. La domanda su cui si interroga Traverso è: ?perché?? Le quattro tipologie che individua sono in grado di rispondere a questa domanda. Il primo gruppo è quello dei collaborazionisti ? Traverso li denomina ?muse arruolate? al servizio del nazismo ? o che comunque che non si scandalizzarono per Auschwitz e per la sua possibilità: Drieu, Cèline, Preziosi, Gentile, Schmitt, Heidegger, Brasillach, Rebatet, Pound, Ionesco fanno parte di questo raggruppamento. Il secondo gruppo è quello dei ?ciechi?, intellettuali antifascisti che parlano di Auschwitz, ma non ne comprendono la radicalità. Sartre, con le sue Riflessioni sulla questione ebraica, è forse l’intellettuale più emblematico di questo gruppo che raggruppa varie figure anche di intellettuali ebrei (come Aron, Berlin, Foa). Il terzo gruppo è quello dei ?salvati? (Levi, Celan, Bettelheim, Améry), che riflettono su Auschwitz a partire da una condizione di testimonianza, ma ne intravedono anche la dimensione di metafora universale della civiltà novecentesca (un aspetto questo che Traverso ha esaustivamente indagato nel suo La violenza nazista, il Mulino, 2002). Il quarto, infine, è quello che egli denomina dei ?segnalatori d’incendio? (Arendt e soprattutto Anders a cui Traverso dedica un capitolo che da solo vale tutto il libro) che hanno visto la catastrofe, le hanno dato un nome e l’hanno interpretata, cogliendone l’elemento specifico e universalistico, ma avendone anche una visione non assolutizzante e percependola come parte significativa del carattere descrittivo e prescrittivo del Novecento. Ovvero vedendola non come una ?ultima stazione? della storia, bensì come un pezzo del processo trasformativo della vicenda umana nella contemporaneità. In questo senso Auschwitz e gli intellettuali raccoglie il testimone e opportunamente rinnova una proposta di ricerca avviata da Baumann all’inizio degli anni ’90 (Olocausto e modernità, il Mulino, 1993) e di fatto a lungo disattesa dall’indagine storiografica.

David Bidussa