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Ettore Cinnella – Carmine Crocco. Un brigante nella grande storia – 2010

Ettore Cinnella
Pisa-Cagliari, Della Porta, 185 pp., Euro 14,00

Anno di pubblicazione: 2010

Una recente pubblicistica, a volte di successo, sta provando a riscrivere la storia della fine del Regno delle Due Sicilie attraverso tentativi revisionisti, spesso di esclusivo taglio giornalistico o addirittura utilizzando arbitrariamente fonti o vecchi studi. Di converso, il dibattito storiografico più attento sta cercando di rinnovare le categorie e le interpretazioni della costruzione dello Stato nazionale riconducendole a un serio inquadramento storico. In questa direzione va la biografia del brigante lucano Carmine Crocco, scritta da Ettore Cinnella. Il libro utilizza la vasta produzione erudita e la memorialistica prodotte nella seconda metà dell’800, con la successiva, consistente, bibliografia sul brigantaggio. Il risultato è un studio serio e documentato, scritto però con taglio veloce e capace di offrire una narrazione accessibile al lettore comune.Cinnella contesta il tentativo di applicare al fenomeno del brigantaggio le categorie della lotta di classe o altri strumenti dottrinari adatti ad altri contesti storici. La biografia di Crocco è invece un’occasione per capire una delle conseguenze più drammatiche del biennio unitario: il feroce conflitto del 1861-1865. L’a. si concentra sui pochi anni in cui Crocco diventò il più celebre guerrigliero e bandito del Mezzogiorno. La giovinezza e la vecchiaia del brigante sono tratteggiate rapidamente ma sono utili per comprendere sia lo sforzo dello stesso Crocco di creare una immagine mitica del suo passato che la leggenda che si cominciò a formare attorno a lui già in occasione del famoso processo di Potenza del 1872. La sua carriera di capobanda era stata breve. Crocco era un disertore che viveva di piccole grassazioni nelle campagne della Basilicata. Cinnella racconta della sua partecipazione alla rivoluzione meridionale del 1860. Per Crocco era un tentativo di riabilitarsi e accreditarsi, magari ritagliandosi un ruolo nel nuovo regime. Fallito questo disegno, evaso dal carcere, Crocco guidò le più importanti campagne brigantesche del 1861, un misto di operazioni militari e di restaurazione legittimistica, in realtà caratterizzate da innumerevoli rapine, saccheggi e omicidi. Le sue vicende si incrociarono con quelle di grandi protagonisti di quella stagione, da Cialdini a Borges, da Albini a Pallavicino, ma anche con i nodi della crisi del Regno borbonico: questioni demaniali e tensioni sociali, conflitti ideologici tra liberalismo e legittimismo, superiore determinazione del movimento unitario meridionale. Crocco mostrò capacità guerrigliere e forse anche un po’ di fiuto politico. Poi, passata la fragile e incerta fiammata legittimista, si ridusse quasi esclusivamente a guidare bande sempre più violente di briganti, infliggendo però gravi perdite alle forze di sicurezza regolari e paramilitari del governo italiano. Morì in carcere, dopo aver scritto una famosa autobiografia. La sua storia offre elementi per comprendere un’epoca in cui diverse opzioni e diverse lealtà si incrociarono e si confusero, cambiando per un momento gerarchie sociali e appartenenze politiche. Soprattutto l’a. colloca nel suo tempo storico una biografia che come poche può spiegare i drammi della partecipazione del Mezzogiorno alla formazione dell’Unità nazionale.

Carmine Pinto