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Europa in movimento. Mobilità e migrazioni tra integrazione europea e decolonizzazione 1945-1992

Giuliana Laschi, Valeria Deplano, Alessandro Pes (a cura di)
Bologna, il Mulino, 279 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2017

Oggetto dichiarato del libro è «l’attraversamento – e l’attraversabilità – dei confini»
(p. 17), relativamente a due processi centrali nella storia del ’900: la decolonizzazione e il
percorso di integrazione europea. Lo compongono, oltre a un’agile Introduzione firmata
da Deplano e Pes, sette densi saggi, tutti collegati ai temi della mobilità e delle migrazioni.
Con alcune idee che fanno da sfondo all’intero volume: la storia del vecchio continente
post1945 va letta nell’intreccio dei due fenomeni, decolonizzazione e integrazione
europea; in entrambi le migrazioni hanno avuto un ruolo di rilievo; l’influenza che la
decolonizzazione ha avuto sulle società europee resta ancora in gran parte da indagare; i
molteplici processi migratori del ’900 hanno contribuito a ibridare le identità europee,
che sono fortemente plurali e tutt’altro che monolitiche.
In un primo saggio di ampio respiro su l’Europa comunitaria e le migrazioni, in cui
non mancano riflessioni sulla situazione odierna, Giuliana Laschi nota come «le frontiere
europee sono tornate a essere il centro nevralgico delle politiche europee» (p. 29) e lega
l’attuale incapacità della Ue nell’affrontare in maniera coordinata le migrazioni a difficoltà
storiche irrisolte, sulla libera circolazione e soprattutto sulla definizione chiara dei concetti
di identità e cittadinanza europea.
I saggi successivi sono più specifici e meno intrecciati all’attualità. Sono dedicati alla
Conferenza di Roma del 1950 sul lavoro migrante in Europa (Andrea Becherucci), alle
posizioni dei socialisti europei (Brian Shaev), alle interpretazioni su Schengen (Simone
Paoli), ai rimpatriati dalle ex colonie italiane e la questione del lavoro (Alessandro Pes), ai
Pieds-Noirs (Patrizia Audenino), al caso degli italiani in Tunisia e Libia (Francesca Fauri
e Donatella Strangio).
Dal secondo dopoguerra, il ritorno di massa dalle ex colonie segnò un’inversione
di tendenza epocale: dopo secoli in cui gli europei erano emigrati ovunque nel mondo,
l’Europa divenne terra d’immigrazione. I rimpatriati francesi – 1 milione e 400 mila nel
1962, dei quali 930.000 dall’Algeria – furono i più numerosi, ma anche altri paesi europei
furono coinvolti da quelle migrazioni di rientro. «Il loro arrivo – scrive Patrizia Audenino
nel suo bel saggio – si configurava come una cesura periodizzante delle migrazioni internazionali
» (p. 210). Per poi notare, riprendendo Benjamin Stora, che gli ebrei d’Algeria,
riparati in Francia assieme ai Pieds-Noirs dopo la guerra del 1954-1962, vissero un’identità
«mista, ibrida, sfuggente, ma anche irrimediabilmente spezzata» (p. 223). Considerazione
che si potrebbe allargare a tutti i migranti e, quantomeno per la prima parte, a
tutti gli europei: ogni identità, nel secondo ’900, ha vissuto contaminazioni e ibridazioni.
In un tempo di discorsi identitari assai semplificati, questo libro restituisce la complessità
di questioni decisive per l’Europa.

Valerio De Cesaris