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Fabio Bertini – Risorgimento e paese reale. Riforme e rivoluzione a Livorno e in Toscana (1830-1849) – 2003

Fabio Bertini
Firenze, Le Monnier, pp. 771, euro 44,00

Anno di pubblicazione: 2003

Il lavoro di Bertini si configura, per molti versi, come un’indagine sulla formazione dell’identità di una città, Livorno, la cui alterità rispetto agli altri centri urbani del Granducato di Toscana è stata più volte sottolineata dalla storiografia. L’osservatorio scelto dall’autore per indagare i caratteri di tale identità cittadina, lungi dal concentrarsi sulla lettura dei soli fermenti politico-culturali che animarono il centro labronico negli anni di preparazione del moto risorgimentale, ha privilegiato uno sguardo complessivo che ha permesso di non disgiungere i molteplici fattori che alla formazione di tale identità concorsero: fra questi, particolare attenzione è stata riservata alle dinamiche economiche legate ai movimenti del porto, alle logiche affaristiche del ceto finanziario locale, ai contraddittori interessi delle maestranze, ed infine alle peculiari forme della politica elaborate in una città-laboratorio com’era Livorno in questi anni, grazie alla presenza di numerosi proscritti politici provenienti da molti Stati regionali italiani. Tale scelta ha quindi partorito un’articolazione interna del lavoro piuttosto complessa, che ha tuttavia il merito di avere consentito la ricomposizione, in un unico quadro, di una molteplicità di piani interpretativi, difficilmente comprensibili se analizzati singolarmente. Fra le numerose tematiche affrontate nel volume, merita forse di essere menzionata, per l’originalità dei risultati, la minuziosa indagine dei molti luoghi in cui si articolarono le prime forme di associazionismo politico ? dalle sette carbonare e mazziniane ai ritrovi degli esuli ? e di aggregazione culturale ? dal salotto di Angelica Bartolommei Palli all’Emporio librario diretto da Silvio Giannini, alle organizzazioni dei facchini portuali: un’indagine tuttavia sempre attenta a collegare tali manifestazioni con le sotterranee, ma non troppo, pulsioni affaristiche dei protagonisti coinvolti in tali iniziative, i cui riflessi non mancarono di esercitare pesanti condizionamenti sulla coesione del ceto dirigente cittadino.
L’intreccio sempre più stretto fra politica e finanza ? che sembra subire una vistosa accelerazione nella seconda metà degli anni ’30, in concomitanza con la costituzione di numerose società per azioni per lo sfruttamento di attività minerarie o per la costruzione di infrastrutture, prima fra tutte la strada ferrata maremmana ? avrebbe infatti favorito il processo di sgretolamento del ceto liberale locale, già fiaccato da anni di contrasti o dalla crescente rivalità tra i personaggi più in vista dell’élite livornese, da Francesco Domenico Guerrazzi a Giuliano Ricci a Enrico Mayer. Alla vigilia dei moti del ’48-49, quindi, la ricomposizione di nuovi schieramenti poteva avvenire su basi sensibilmente diverse rispetto al periodo precedente, facendo leva sul chiarimento delle categorie politiche ? ?democrazia? e ?liberalismo? ? maturate grazie anche alla crisi del neoguelfismo, e sulla loro contestuale radicalizzazione, che lasciava uno spazio esiguo alla possibilità di sempre più improbabili mediazioni.

Marco Cini