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Fabio Cuzzola – Reggio 1970. Storie e memorie della rivolta – 2007

Fabio Cuzzola
Roma, Donzelli, XII-204 pp., Euro 26,00

Anno di pubblicazione: 2007

Questo libro colma un vuoto poiché fornisce spezzoni di numerose interviste (oltre 100) a persone in gran parte comuni che parteciparono alla rivolta di Reggio Calabria del 1970. Non le solite versioni scontate e noiose di politici e leader.L’a. ha il merito di «dare la parola» ai protagonisti invisibili di questo movimento e di attribuire dignità di fonte storica alle loro testimonianze. Seppur non siano ben chiari i criteri di scelta (il passaparola? la prossimità amicale?), degni di considerazione dal momento che, vista la durata – più di 6 mesi – e l’intensità della mobilitazione, migliaia di persone coinvolte avrebbero potuto riportare un differente punto di vista, il lavoro ha il pregio di interpellare chi di quell’evento ha un ricordo diretto e chi indiretto, chi era d’accordo e chi no.Il contenuto delle testimonianze orali tuttavia non è posto a riscontro con la cronaca, ricavabile comodamente dal lungo reportage Buio a Reggio (Città del Sole, 2000). In genere Cuzzola è reticente sulle date, non si preoccupa troppo di collocare i fatti nel contesto temporale esatto, producendo delle sequenze cronologicamente sfasate (pp. 14, 15, 18, 27, 29, 31, 40, 41, 132). Emblematico il caso di un commissario di polizia che ricorda l’invio dell’esercito a presidio della linea ferrata subito dopo il deragliamento del treno a Gioia Tauro. A tal proposito l’a. desume che «questa decisione, più di ogni altra, lascia trasparire oggi, a posteriori, quanto nelle stanze del potere fosse da subito diffusa la consapevolezza che quello del Treno del Sole non era stato un incidente» (p. 28). Al di là del sapore dietrologico dell’osservazione, predominante in tutto il libro, è utile notare che l’attentato avvenne il 22 luglio e l’invio dell’esercito il 16 ottobre 1970. Una consapevolezza un po’ a scoppio ritardato, forse.Ciò è indice di una seria instabilità metodologica del lavoro. E, inoltre, di un approccio impoverito alle memorie, da cui appunto non sono ricavati gli errori, giacché come scrive Ronald Grele, in riferimento al celebre saggio su Trastulli, «ogni volta che ne ha l’occasione, [Sandro, ndr] Portelli ci ricorda cha la sola ragione per cui può capire il significato della storia sbagliata di quella morte è che ne conosce la data esatta» (Storie orali, Roma, Donzelli, 2007, p. XII).La debolezza della struttura scientifica del libro è confermata dall’incompletezza (n. 1 p. 22, n. 6 p. 53, n. 1 p. 144) o dall’assenza totale (n. 1 p. 30, n. 37 p. 74) dei riferimenti documentari, con alcune eccezioni (n. 12 p. 26). Sebbene – al contrario di quanto afferma Cuzzola (p. VIII) – esistano abbondanti fondi archivistici del Ministero dell’Interno, già consultati da Guido Crainz, le carte adoperate sono quasi esclusivamente giudiziarie. Ciò sbilancia inevitabilmente il racconto verso il rilievo penale dell’azione collettiva e le trame oscure della rivolta, senza aggiungere nulla di nuovo sul rapporto tra essa e la «strategia della tensione». Ne rimangono sacrificati spunti analitici interessanti sulle dinamiche territoriali e identitarie e sulla retorica populista che dominò l’evento (pp. 9, 34, 71, 79, 110), meritevoli di una più adeguata valorizzazione.

Luigi Ambrosi