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Fascismo e antifascismo. Storia, memoria e culture politiche

Alberto De Bernadi
Roma, Donzelli, 167 pp., € 17,00

Anno di pubblicazione: 2018

Dal 2008 l’Occidente si trova in vario modo investito da un ciclo di crisi finanziarie, economiche, politiche e sociali. Di qui sono emerse forze nazionaliste e populiste che mettono apertamente in discussione le eredità del 1989, quando non quelle del 1945. Si tratta, però, del «ritorno del fascismo»? In che misura siamo di fronte a serie minacce alla democrazia? Può essere ancora utile il richiamo all’antifascismo?
In questo libro di piccole dimensioni, ma denso di riflessioni, Alberto De Bernardi affronta con determinazione questo insieme di domande. Scritto durante l’esperienza del governo «giallo-verde», il testo si muove su almeno due livelli: da un lato, la volontà di distinguere nettamente il fascismo storico dai fenomeni nazional-populisti di oggi; dall’altro, lo sforzo di comparare la crisi attuale a quella degli anni ’30. L’a. chiarisce subito il suo obiettivo polemico, vale a dire la convinzione dell’esistenza di un «fascismo eterno», ricapitolata da una famosa conferenza di Umberto Eco nell’aprile 1995 a New York. Questa è a sua volta funzionale a un antifascismo altrettanto «metastorico», che, nonostante la fine dell’esperienza fascista nel 1945, tende ad alimentare la delegittimazione dell’avversario politico, dalla Democrazia cristiana fino a Berlusconi e Salvini. L’infondatezza della minaccia attuale del fascismo è a sua volta ricondotta alla diversità dei contesti, ossia quello che dal crack di Wall Street nel 1929 condusse al collasso della Repubblica di Weimar rispetto a quello che dalla bancarotta di Lehman Brothers nel 2008 ha sospinto l’ascesa di partiti e governi nazionalisti e populisti.
Spostandosi poi sul terreno della storia del fascismo e dell’antifascismo, l’a. ricostruisce la complessa formazione di un’opposizione al regime di Mussolini, nonché la varietà e pluralità del fronte antifascista: all’interno di questa analisi spicca la lucidità del gruppo rivoluzionario di Giustizia e Libertà e del suo fondatore Carlo Rosselli, che mirava a rappresentare una «alternativa democratica». Peraltro, l’a. non manca di rilevare quel grumo di tensioni e contraddizioni tra antifascismo e stalinismo che fu accantonato dalle esigenze politiche della «guerra civile europea». Infine, gli ultimi due capitoli indagano la costruzione della memoria pubblica repubblicana con l’intento di archiviare il conflitto ideologico tra fascismo e antifascismo, mostrandone il carattere via via più anacronistico nel lungo dopoguerra (e oltre).
«Il fascismo è dunque morto» (p. 120). Questa è la lapidaria sentenza intorno a cui ruota il libro di cui è più convincente la pars destruens che la pars construens. Certo, l’a. fa bene a escludere la plausibilità storica delle analogie e a criticarne la funzionalità politica; eppure, l’andamento a tratti apodittico può dare l’impressione che la discussione storiografica su questi temi sia del tutto risolta. Così non è. Che il fascismo abbia un futuro è difficile dire, ma sono anche le domande provenienti dal presente a sollecitare nuove prospettive locali, transnazionali e globali in cui comprendere il passato dei fascismi e i suoi lasciti duraturi e contraddittori.

Marco Bresciani