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Francesco Bigazzi e Evgenij Zhirnov – Gli ultimi 28. La storia incredibile dei prigionieri di guerra italiani dimenticati in Russia – 2002

Francesco Bigazzi e Evgenij Zhirnov
Milano, Mondadori, pp. 235, euro 16, 60

Anno di pubblicazione: 2002

Il volume ricostruisce le vicende di ventotto prigionieri di guerra italiani, appartenenti all’Armir, trattenuti in Russia, dopo il rimpatrio dei soldati nel 1945 e degli ufficiali nel 1946, con l’accusa di crimini di guerra. Dopo un iniziale inquadramento sulla partecipazione del nostro esercito alla campagna di Russia, gli autori descrivono le lunghe e contraddittorie trattative diplomatiche che ebbero per oggetto la restituzione dei prigionieri italiani, le condizioni di vita nei lager sovietici, gli avvenimenti che coinvolsero i ventotto prigionieri fino al ritorno di patria di tutti loro, tra il 1950 e il 1954, eccetto uno deceduto in prigionia.
In realtà, più che di una ricostruzione storica, si tratta della narrazione e del resoconto della ricerca condotta principalmente negli archivi russi con una metodologia che offre il fianco a più di una critica dal punto di vista scientifico. La documentazione raccolta, in diversi casi già nota, non aggiunge molto a quanto già si conosceva da precedenti e più accurati studi (in particolare quelli condotti da Maria Teresa Giusti e pubblicati nel 2000, che gli autori non citano). Parte delle informazioni presentate, inoltre, erano già disponibili nelle memorie che alcuni di questi prigionieri pubblicarono dopo il loro ritorno in patria e che vengono prese in considerazione dagli autori solo a ricerca inoltrata. Tranne poche eccezioni (come alcuni documenti tratti dall’archivio di Paolo Resta, il rapporto dell’UNIRR sui prigionieri di guerra italiani in Russia e l’Albo d’Oro del Ministero della Difesa) manca il confronto con documentazione proveniente da archivi italiani e comunque una ricerca più approfondita su questo versante. Tale confronto avrebbe forse permesso, nei limiti della consultabilità di questi archivi, di trovare una risposta ad alcuni interrogativi di carattere storico che anche in un’opera divulgativa come questa trovano spazio: a prescindere dal trattamento crudele riservato ai prigionieri di guerra italiani, contrario ad ogni convezione internazionale, e dall’uso strumentale che dell’intera vicenda dei prigionieri si fece in Italia da parte di varie forze politiche, non è ancora stata accertata la responsabilità e l’eventuale partecipazione di nostri militari ad azioni rubricabili come crimini di guerra. In particolare, sarebbe necessario chiarire se militari italiani ? o parte di essi, ad esempio le Camicie Nere ? presero parte ai rastrellamenti e alle stragi di ebrei russi, bielorussi e ucraini, e in generale della popolazione civile, perpetrate dalle truppe tedesche, essendo difficile credere che nessuno nel nostro esercito fosse a conoscenza del comportamento dell’alleato nazista. Discutibile appare infine la scelta di concentrarsi solo sui prigionieri dell’ARMIR rimasti in URSS dopo il 1946 (il cui numero esatto resta ancora da determinare con certezza), accennando senza approfondire alle vicende dei militari italiani altoatesini che combatterono con le truppe tedesche e ai diplomatici e funzionari italiani in servizio in paesi balcanici che dopo l’8 settembre lavorarono per la Repubblica sociale italiana e furono catturati dalle truppe sovietiche e condotti in URSS.

Tommaso Dell’Era