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Francesco Ruffini. Una biografia intellettuale

Andrea Frangioni
Bologna, il Mulino, 475 pp., € 36,00

Anno di pubblicazione: 2017

La formazione culturale di Ruffini interseca liberalismo e positivismo: Fogazzaro e
Carducci sono infatti i riferimenti letterari più ricorrenti nei decenni che dall’Università
lo conducono agli studi giuridici. L’a. ripercorre, insieme alla biografia dell’esperto di
diritto ecclesiastico, i delicati snodi interpretativi del rapporto Stato/Chiesa, sebbene la
puntuale ricostruzione del dibattito sul separatismo e sul nuovo giusrisdizionalismo manchi
di un necessario richiamo alla ricca prassi preunitaria, alla luce dei recenti studi usciti
in materia (cfr. Edigati, Tanzini, 2015).
Decisamente originali si rivelano le parti del volume concernenti sia la divergente
lettura fra Ruffini e Croce in merito alla polemica modernista, sia i passaggi dedicati alle
stimolanti corrispondenze con Luzzatti e Prezzolini. Ne scaturisce una figura sfaccettata,
senz’altro ereticale, aperta al confronto e priva di pregiudizi, come testimonia la posizione
espressa sulla circolare emessa dal ministro della Pubblica Istruzione Credaro, in relazione
all’obbligo di giuramento imposto ai docenti universitari. Il richiamo a simili episodi
arricchisce il quadro di una cultura liberale che non si appiattisce in uno sterile conservatorismo
e neppure degrada verso atteggiamenti aggressivamente anticlericali. D’altronde
intorno a Ruffini, e nella ex capitale sabauda, si concentra ancora nel primo dopoguerra
lo spirito tipico della destra storica cavouriana antagonista e alternativo all’area giolittiana
guidata da Teofilo Rossi.
Di grande interesse è la ricostruzione dell’interludio fra Ruffini e Luigi Albertini
nato durante il conflitto, in coincidenza con la costituzione del Fascio parlamentare di difesa
nazionale, e consolidatosi con la crisi dello Stato liberale. L’antigiolittismo costituisce
per molti aspetti l’elemento coesivo fra due alfieri dell’opposizione al sistema notabilare
affermatosi con l’inizio del secolo, nonostante sia l’avvento del fascismo a saldarne il legame.
In particolare, Ruffini individua nelle riforme costituzionali l’ambito da cui partire
per scardinare una modalità politica condannata ad affrancarsi dall’impronta conferitagli
dallo statista di Dronero. Proporzionale, larghe circoscrizioni ed elettività del Senato su
base regionale sono le proposte avanzate in sede istituzionale, a dimostrazione di quanto
chiaro sia l’obiettivo di neutralizzare la pratica della cooptazione e il requisito clientelare
dalla rappresentanza.
La degenerazione dell’apparato statuale rimane al centro dell’analisi del pensiero di
Ruffini e i passaggi dedicati all’incidenza delle masse, al predominio delle burocrazie di
partito e alla salvaguardia delle élite sono rivelatori di una concezione conservatrice ancorata
al rispetto delle prerogative statutarie. A tale riguardo, Frangioni ha il merito di riproporre
la questione dell’opposizione moderata alla deriva fascista, poiché si tratta di un
passaggio liquidato con troppa frettolosità da gran parte della storiografia e che, viceversa,
necessita di essere nuovamente esaminato alla luce di una rilettura più neutra.

Marco Pignotti