Cerca

Georgia. Una storia fra Europa e Asia

Simona Merlo
Trieste, Beit, 175 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2017

Vi sono piccole nazioni la cui storia introduce ai grandi temi del dibattito storiografico contemporaneo. La conferma giunge dal libro di Simona Merlo sulla Georgia, un paese che è stato nel corso della sua millenaria parabola impero e provincia di imperi, terra di rivoluzionari e di forti sentimenti antisovietici, parte dell’Asia e poi di un’Europa che guarda agli Usa più che alla Ue. Al pari di molti paesi sottoposti a un dominio imperiale, la Georgia ha sviluppato la propria coscienza nazionale in assenza di uno Stato, consolidandola attorno alla triade «lingua, religione, madrepatria». In un contesto plurietnico e plurireligioso, nel quale i georgiani rappresentavano ancora nel 1989 circa i 2/3 della popolazione, ciò ha reso «ambigua la categoria di nazione», anche perché la Georgia deve al dominio russo «l’unificazione di parte dei territori della Georgia storica medievale» e a quello sovietico «l’organizzazione politica e amministrativa» (p. 9).
La linea di «nazionalismo ortodosso» praticato negli ultimi decenni di storia dell’Urss, ispirato dalla «ricerca di autonomia politica, economica e culturale all’interno del sistema sovietico» (p. 95), fu quindi non la deviazione da un corso storico secolare quanto una risposta ai dilemmi insoluti del nazionalismo georgiano. I problemi accumulatisi e non risolti durante questo periodo esplosero una volta conquistata l’indipendenza.
Fra il 1992 e il 2012 si succedettero alla guida della Georgia tre «salvatori della Patria»: il «padre della nazione» ed ex dissidente Gamsachurdia, incapace di rifondare il paese e sospettato di tentazioni golpiste; il suo successore Ševardnadze, ex segretario comunista della Georgia ed ex ministro degli Esteri della perestrojka; Saak’ašvili, esponente di punta della generazione postsovietica e filoccidentale. Saliti al potere sulla spinta di un consenso plebiscitario, tutti furono costretti ad abbandonarlo, fra accuse e violenze, per l’incapacità di combattere la corruzione e di restituire stabilità a un paese sconvolto da sanguinosi conflitti interetnici. Accanto a vicende specifiche, la loro sorte rispecchia problemi universali che risalgono alla dissoluzione dei grandi Imperi europei e al processo di decolonizzazione. Negli Stati di nuova formazione, l’ascesa di leader carismatici nasconde l’assenza di istituzioni ed élite politiche competenti. Affidare un ruolo politico alla Chiesa ortodossa finisce con l’intaccarne il ruolo morale e teologico: è quanto è accaduto con la «teologia politica georgiana» di Saak’ašvili (p. 146). La sovranità non pone fine alla dipendenza dalle grandi potenze: nel caso della Georgia l’ingerenza della Russia e la sostanziale indifferenza di Ue e Usa hanno avuto effetti diversi ma egualmente negativi.
Il lavoro di Merlo conferma che la divulgazione storica, quando è sostenuta da buona documentazione e da una chiara argomentazione, ha una funzione alta: rendere le specificità irriducibili di ogni storia nazionale, fortissime nel caso della Georgia, e i problemi generali che in essa affiorano, dai quali dipende il futuro di ogni singolo paese e del mondo.

Fabio Bettanin