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Gerardo Chiaromonte, una biografia politica. Dai quartieri spagnoli alla Commissione antimafia

Giovanni Cerchia
Roma, Carocci, 285 pp., € 29,00

Anno di pubblicazione: 2014

Già autore di studi su Giorgio Amendola, Cerchia traccia in sei capitoli una documentata ed equilibrata biografia di un dirigente comunista napoletano appartenente alla generazione successiva a quella dei fondatori del Pci – la stessa di Napolitano – che si affaccia all’età adulta al momento della seconda guerra mondiale. Nato nel 1924 e scomparso nel 1993, Chiaromonte non ha ancora vent’anni quando Napoli viene liberata e Togliatti avvia la svolta di Salerno, alla quale egli aderisce convintamente nonostante le note divisioni tra i comunisti napoletani, sostenitori dell’abdicazione del re.
L’a. si avvale di fonti del Pci, carte e testimonianze private della famiglia, per descrivere, ed è un suo merito, le precise coordinate napoletane e generazionali che fanno dell’adesione al comunismo un motivo di riscatto meridionalista e nazionale.
Di grande interesse la formazione culturale, nel cap. 1, in un clima segnato dalla liquidazione della questione meridionale ad opera del regime, sul cui sfondo scaturì un distacco tra il vecchio gruppo dirigente rivoluzionario del Pcd’i attorno a Bordiga e il gruppo dei giovani antifascisti napoletani che vede in Amendola il massimo referente (pp. 31-33). La scelta comunista matura dopo l’8 settembre sotto i bombardamenti alleati. Suggestivo, tra 1947 e 1949, il dettaglio di una promettente carriera di dirigente aziendale a Milano interrotta, non appena raggiunto il traguardo di uno stipendio elevato, per una carriera nel partito con una remunerazione pari a un terzo dell’altra. Trapela una concezione weberiana della politica come vocazione, che aiuta a spiegare la scelta duratura del Pci anche dopo il 1956.
Si segnala per originalità il cap. 3 sul meridionalismo di Chiaromonte, la cui formazione di ingegnere ne fa assieme a Sereni e altri intellettuali un promotore dello sviluppo meridionale con l’ausilio dello Stato, su una linea di «rivoluzione agraria borghese», distaccata sia dal tradizionale operaismo torinese sia dalle politiche agrarie rivendicative sostenute da Grieco. Iniziative innovative come il Movimento per la rinascita del Mezzogiorno e «Cronache meridionali» vengono inquadrate in rapporto alla riforma agraria, alla Casmez e al boom economico.
I capitoli successivi tracciano la carriera di Chiaromonte a Roma dal 1965 alla collaborazione e al conflitto nella segreteria di Berlinguer fino alla scomparsa, quando ancora era alla guida della Commissione antimafia.
Ben delineate sul piano ricostruttivo, le vicende biografiche lasciano in sospeso l’interrogativo sui limiti del gruppo dirigente comunista nella gestione del compromesso storico negli anni ’70. Forse contava proprio la formazione culturale di cui ci parla Cherchia? Le ragioni ideali e le conseguenze dell’adesione di un pezzo della borghesia italiana al Pci restano un problema storiografico che ricerche come questa aiutano a porre.

Carlo Spagnolo