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Gerusalemme. Storia di una città-mondo dalle origini a oggi

Vincent Lemire
Torino, Einaudi, 326 pp., € 30,00 (ed. or. Paris, Flammarion, 2016, traduzione di Valeria Zini)

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume, frutto del progetto Open Jerusalem finanziato dall’Erc, ricostruisce la storia
della città di Gerusalemme dalle prime attestazioni di presenza umana sedentaria risalenti
alla fine del IV millennio a.C. fino agli inizi del XXI secolo.
Si tratta di un ottimo libro, dettagliato, documentato, scorrevole, con un taglio al
contempo scientifico e divulgativo. Da un lato, i sette capitoli di cui è composto permettono
di seguire le vicende della «città santa» attraverso le tante dominazioni che si
sono succedute. Particolarmente utili sono dieci cartine, attraverso le quali è possibile
comprendere i cambiamenti avvenuti nella topografia della città, dai luoghi di culto ai
quartieri abitativi. Dall’altro, l’a. ambisce a mettere in luce lo scollamento tra proiezioni
e discorsi su Gerusalemme e la storia della città, che necessita di essere raccontata in maniera
scientifica, a partire dalle fonti. D’altronde, il progetto di ricerca che l’a. coordina e
che si concentra sugli ultimi due secoli di storia di Gerusalemme, dagli anni ’40 dell’800
fino alla fine del mandato britannico nel 1948, consiste proprio nel raccogliere un’ampia
gamma di fonti provenienti da diversi archivi: di personalità gerosolomitane, della municipalità
ottomana, dei consoli europei, delle istituzioni sioniste.
In questo senso va intesa l’affermazione «Gerusalemme è una città senza storia» (p.
4) che l’a. presenta nell’Introduzione: a prevalere sinora non è stata la storia, ma una
narrazione basata su memorie, proiezioni, tradizioni, utilizzate spesso per rafforzare identità
contrapposte. Rispetto alla vulgata che vede Gerusalemme una città caratterizzata
da scontri tra comunità religiose separate, dagli archivi amministrativi ottomani emergono
invece «pratiche religiose miste […] e occasioni di contatto e di scambi» (p. 208).
All’idea che ebrei, musulmani e cristiani abbiano vissuto separati nei quattro quartieri
comunitari della città vecchia, l’a. oppone «la forte contaminazione» all’interno di quei
quartieri (p. 225): secondo il censimento del 1905, infatti, il 29 per cento delle famiglie
musulmane viveva nel cosiddetto quartiere ebraico e il 32 per cento di quelle ebraiche in
quello musulmano. La Gerusalemme ottocentesca non è il luogo in rovine che emerge
dai diari dei viaggiatori europei o americani, ma una città capace anche di esprimere una
società interconfessionale e secolare, portatrice di progetti di modernizzazione. Con la
fine dell’Impero ottomano e il «passaggio da “l’età degli imperi” a “l’età delle nazioni”»
(p. 236), Gerusalemme vive il contrasto tra il progetto sionista e quello nazionalista arabo
e un crescente processo di polarizzazione comunitaria che troverà il proprio culmine
nella divisione in due della città a seguito della guerra del 1948. Il volume si chiude con
«il fallimento della riunificazione» (p. 269) e il permanere di due realtà urbane distinte,
Gerusalemme est e ovest, nonostante Israele consideri la città indivisibile, a conferma di
quanto tuttora esista uno scollamento tra la narrazione che di Gerusalemme viene fatta e
la realtà che questa sperimenta.

Arturo Marzano