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Giampaolo Pansa – La grande bugia. Le sinistre italiane e il sangue dei vinti – 2006

Giampaolo Pansa
Milano, Sperling & Kupfer, 468 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2006

È possibile che l’autore abbia scelto a modello del libro quello in cui Ernesta Bittanti Battisti racconta le tappe del viaggio oratorio di suo marito nella campagna per l’intervento in guerra dell’Italia? Pansa ha fatto buonissimi studi a Torino, con Alessandro Galante Garrone e Guido Quazza, ne ha derivato lavori rigorosi ed è lui stesso prova di come, dall’incontro fra università e istituti storici della Resistenza, potessero già quarant’anni fa uscire fior di ricerche. Poi ha scelto di abbandonare quel percorso ? che ne avrebbe fatto un iscritto alla SISSCO ? e di diventare un grande cronista e commentatore politico. Il rancore, talvolta il furore nei dibattiti che si impennano a ogni sua uscita ha a che fare anche con uno scontro di corporazioni, oltre che fra le «due sinistre», antifascisti e anti-antifascisti, comunisti (o eredi) e anti-comunisti. È anche problema di nomenclatura, oltre che di identità lacerate o contuse. Chi legge questo libro, trova un autore ansioso di riaffermare che è sempre stato, è e resta un uomo di sinistra. Con il coraggio, però, e la volontà di affrontare i vuoti di conoscenza, gli imbarazzi, i falsi delle sinistre, ricercatori in cattedra non esclusi, in tema di Resistenza, prima e dopo il 25 aprile: foibe, scontri armati fra bande partigiane, liquidazioni sommarie di fascisti veri o presunti. Pansa come un Pisanò di sinistra? In parte, le tematiche rivendicate sono le stesse. Ma egli dichiara di volerle assumere come necessaria autocoscienza e tardivo lavacro collettivo; e a sinistra si recalcitra a quest’approccio autopunitivo e si constata che il successo dei suoi best-seller viene incontro al progetto politico di sporcare la Resistenza e la Repubblica nata dalla Resistenza. Buona dunque l’idea-guida del libro, seguire l’autore che presenta i suoi libri ? e alla fine l’«uomo contro», se stesso ? in varie ?piazze’ d’Italia: come nella corvée oratoria, nel 1915, del socialista patriota, che continua a sentirsi e a dichiararsi socialista, vorrebbe toccare il cuore e la mente dei neutralisti, ma raduna e esalta gli interventisti. Se Pansa fosse riuscito a essere il cronista di questi suoi itinerari di terapia collettiva, sarebbe un’inchiesta di grande interesse. In realtà, il polemista sopraffà di continuo il cronista. Ogni capitolo è un regolamento di conti nominativo con uno dei suoi detrattori: risse, bastonate verbali, duelli che non hanno proprio nulla di cavalleresco. L’inchiesta scade, si fa viscerale. È anche un problema di approccio e di linguaggio: abbiamo tutti letto il Pansa inventivo creatore di nomignoli, ma ciò che funziona in un articolo diventa stucchevole in un volume. Altra scelta strutturale che appesantisce l’architettura: non narra in presa diretta, ma a una figura femminile, figlia di un antifascista testimone dei suoi volumi, ora morto. Par di capire che la giovane, che dichiara continuamente di non saperne niente, sia chiamata a rappresentare la cera vergine, l’intelligenza agnostica e ignara di un cittadino ? anzi, meglio, di una cittadina ? illuminata da chi ne sa di più. Ma con un interesse blando per queste cose da vecchi e con una capacità di interlocuzione vicina allo zero. Se l’è costruita così l’autore, pleonastica.

Mario Isnenghi