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Gianni Oliva – Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria – 2002

Gianni Oliva
Milano, Mondadori, pp. 206, euro 16,00, pbk euro 8,40

Anno di pubblicazione: 2002

L’idea delle foibe come storia rimossa e memoria negata continua ad avere seguito, a causa del poco spazio dedicato al fenomeno dalla manualistica, anche se negli ultimi anni non sono mancati servizi giornalistici, programmi televisivi, incontri celebrativi e di approfondimento, come anche lavori di tipo divulgativo o di rilievo storiografico (da Petacco a Molinari, da La Perna a Valdevit a Pupo e Spazzali). L’operazione di Gianni Oliva, che si inserisce in un filone divulgativo con l’intento di aggiornare e ordinare gli eventi e l’assetto interpretativo, nonostante alcune imprecisioni e limiti bibliografici, mi sembra riuscita proprio grazie all’uso estensivo di alcuni contributi storiografici, citati frequentemente nel testo (Pupo e Valdevit su tutti). Appoggiandosi alla storiografia giuliana sul Novecento (Schiffrer, Apih, Collotti, Fogar, Matta, Vinci, oltre agli autori sopracitati), Oliva riesce ad offrire un quadro convincente delle violenze e a calarle in un contesto storico di lungo periodo. Il discorso sulle foibe viene inserito in una storia giuliana che parte dal “fascismo di confine” (cui è dedicato il secondo dei sette capitoli del libro) e si snoda attraverso gli avvenimenti della guerra in Jugoslavia e nella Venezia Giulia, fino alla creazione del Territorio Libero di Trieste. L’autore si sofferma sulle foibe istriane del ’43 (terzo capitolo), ma anche su alcuni momenti chiave della guerra (e dell’acceso dibattito del dopoguerra) nell’area: l’occupazione e l’amministrazione tedesca dal ’43 al ’45 (l’Adriatisches Künstenland) e le sue violenze (come la Risiera di San Sabba); la lotta di liberazione nella Venezia Giulia e le divisioni interne alla resistenza italiana (con una lunga digressione sull’episodio di Porzus); la “corsa per Trieste? dell’Armata partigiana jugoslava e delle truppe alleate; l’occupazione di Trieste e la breve ma cruciale stagione di un’epurazione nazionale condotta con il tacito assenso dei comunisti italiani. Convince il capitolo finale (?Dalle foibe alla linea Morgan?), grazie al quale acquistano una dimensione più ampia i racconti impressionanti degli infoibamenti, degli arresti e delle deportazioni della primavera del ’45, con cui l’autore apre il volume. Per la cronaca dei ?quaranta giorni di Trieste?, Oliva, oltre a memorie pubblicate, fa uso di alcuni documenti rintracciati nell’Archivio del Ministero degli Affari Esteri. Si avverte, a questo punto, la necessità di una ricerca di ampio respiro che sveli con maggior precisione e ampiezza documentaria la catena di ordini che lega le violenze ai centri di potere jugoslavo, come successo nel caso dei recenti studi sul ?Grande terrore? sovietico degli anni Trenta. Inoltre, nel libro di Oliva i riferimenti al contesto jugoslavo e internazionale sono quasi tutti mediati dalla storiografia giuliana, cosa che spiega anche, ma non giustifica, l’assenza di uno sguardo d’insieme sull’Europa centrale e orientale, terreno di altri fenomeni di violenza collettiva che andrebbero considerati e collegati.

Vanni D’Alessio