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Giorgio Fabre – Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita – 2005

Giorgio Fabre
Milano, Garzanti, pp. 508, euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2005

La prima parte del libro è un seguito delle puntigliose ricerche dell’autore su aspetti dell’antisemitismo fascista: sulla scorta di un serrato lavoro d’archivio si aggiungono nuovi tasselli alla retrodatazione dell’avvio della prassi antiebraica, segnalando alcuni episodi fra 1928 e 1930. Gran parte di questo lavoro è però dedicata, attraverso l’esame minuzioso degli scritti e dei discorsi del futuro ?duce?, ad avvalorare due ipotesi ben più impegnative sul razzismo italiano. La prima: sin dalle origini il fascismo avrebbe un’inclinazione antisemita (essendo Mussolini, dal 1919, ?un uomo di punta dell’antisemitismo mondiale?, quindi ?maestro del razzismo europeo?, pp. 253 e 477). La seconda: la genesi delle politiche razziste risalirebbe ancora addietro e sarebbe ?emanazione diretta? (p. 36) della formazione socialista di Mussolini (cosa che ridimensionerebbe il peso dell’approdo all’interventismo e al nazionalismo).
Nell’argomentare, Fabre pone il fuoco sui testi e ciò rischia di generare qualche distorsione. Da un lato, pur insistendo sull’intenzione politica e ?di vertice? dell’approccio di Mussolini alle ?razze?, tende a sottovalutare il peso del contesto nella definizione del significato delle prese di posizione razziste: non è chiaro quale effettiva consistenza avessero e a quali intenti mirassero, negli spazi specifici del socialismo prebellico e nella congiuntura postbellica, gli usi del lessico razziale. Dall’altro, sopravvaluta l’apporto delle élites alla costruzione dei fenomeni sociali: per cui insiste sulla formazione culturale, ricondotta alla sequenza di famiglia e scuola, ambienti e letture; e prosegue sostenendo che il razzismo italiano è la ?formazione? di una ?mentalità?, prima quella di Mussolini, poi dei ?seguaci? e infine degli italiani (p. 451).
Al di là delle scelte di metodo, questa ricca ricerca risente di limiti che dipendono in buona parte dallo stato della storiografia, ma talvolta anche da un suo uso parziale, che porta a insistere su giudizi discutibili. Ad esempio, non si possono considerare i socialisti come i principali diffusori di pregiudizi razzisti (pp. 87, 199) senza tener conto del peso assai maggiore della Chiesa e del movimento cattolico (riguardo agli ebrei) e delle istituzioni dell’Italia liberale (verso gli africani). Nonostante sia costretto a rilevare oscillazioni e controtendenze, Fabre fa emergere un forte senso di ?linearità?, ?continuità? e ?coerenza?, fra uso della ?razza? nel mondo socialista, nel dopoguerra e nelle diverse fasi del regime fascista, ma anche nella biografia stessa di Mussolini: quasi che una volta incorporato, anche per via di piccoli slittamenti semantici, il peccato originale, ?atavico? o ?congenito? (pp. 75, 389) del razzismo sia destinato a perpetuarsi, diffondersi e radicalizzarsi. Questi rilievi nulla tolgono all’interesse del libro, che segnala molti problemi trascurati, sollecita nuove ricerche e offre un prezioso contributo alla rimessa in discussione di un assunto pervicace: l’estraneità del razzismo alla storia d’Italia e il carattere incidentale del razzismo di Stato del decennio 1936-1945.

Michele Nani