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Giovanna D’Amico – I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945 – 2006

Giovanna D’Amico
Presentazione di Bruno Vasari, Palermo, Sellerio, 405 pp., euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2006

Gli studi sulle deportazioni ? politica, razziale, militare, per il lavoro ? hanno conosciuto un considerevole aumento nel corso degli ultimi decenni. Il tema è stato affrontato sotto molteplici aspetti, che vanno dalle dinamiche dell’internamento e della deportazione alle reazioni delle vittime, allo strutturarsi della memoria pubblica della guerra ed al suo rapporto con i tanti vissuti individuali. Con questa varietà di questioni, opportunamente intrecciate tra loro, si confronta lo studio della D’Amico che affronta la questione attraverso un’ottica regionale. L’interrogativo di partenza riguarda la natura e i numeri della deportazione dei siciliani e ? contestualmente ? i motivi che hanno determinato una generale disattenzione per il fenomeno; come se la questione avesse riguardato solo ed esclusivamente le popolazioni del Nord e del Centro. Un totale di almeno 761 «siciliani», ovvero di cittadini italiani nati in Sicilia, finirono a vario titolo nelle maglie del sistema concentrazionario nazionalsocialista: una deportazione «atipica», con pochissimi individui che la subiscono per motivi razziali (appena 4) e poche donne. L’autrice identifica innanzitutto le diverse tipologie di soggetti coinvolti, nonché i mutevoli contesti in cui si articolò il vissuto dei deportati. Passa poi a ricostruire le vicende del ritorno e della reintegrazione psico-sociale, politica e culturale. Infine un ultimo capitolo è dedicato al tema della memoria, o meglio delle censure e dei condizionamenti che contrassegnarono il modo in cui i ricordi individuali potevano inserirsi in un quadro socio-culturale più ampio. Seguono due lunghe appendici, di quasi duecento pagine: la prima è composta da tabelle, grafici ed elenchi nominativi, la seconda da dieci interviste. Il volume è completato ed arricchito da una vasta bibliografia. La mole di dati prodotta è notevole e da questo punto di vista il lavoro ha certo un suo valore. C’è da chiedersi però quanto abbia senso questo tipo di ricerca, quanto cioè sia utile aggregare i dati sulla deportazione in base alla provenienza regionale e non in base al luogo di arresto. Lascia inoltre perplessi l’insistito riferimento alla categoria della «rimozione». Il termine, di evidente derivazione psicoanalitica, è stato spesso usato per descrive le dinamiche della memoria della guerra, e della deportazione, sia in Italia che altrove. Tuttavia storici avveduti ? come per esempio Peter Novick (The Holocaust in American Life, Boston, Houghton Mifflin, 1999) ? non hanno mancato di metterne in discussione la valenza euristica ai fini di una vera e propria storia della memoria. Il concetto freudiano di rimozione implica infatti l’idea della riemersione: il trauma subito sarebbe in una prima fase occultato per poi riemergere prepotentemente. Siamo sicuri che sia questo procedimento psicologico, e non altri meccanismi storici e politico-culturali, a determinare i tanti e lunghi vuoti di memoria del dopoguerra cui sono poi seguite le tracimanti piene di commemorazione odierna?

Guri Schwarz