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Giovanni De Luna – Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea – 2006

Giovanni De Luna
Torino, Einaudi, XXVIII-302 pp., euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2006

Un libro intensissimo e complicato, come lo sono i libri che parlano di cose che vorremmo il più possibile tenere astratte per non vederle con i nostri occhi, e in cui l’analisi e la riflessione sulla violenza novecentesca non suonano come condanna tout court del Novecento e della politica di questo secolo, ma come sforzo di analisi e di considerazione di questi fenomeni. Obiettivo centrale della ricerca di Giovanni de Luna è la storicizzazione del corpo ucciso in guerra e i diversi modi, in relazione ai diversi tipi di guerra, ma anche ai differenti momenti della guerra, in cui i nemici vengono uccisi. Per studiare i corpi dei «nemici», le fonti principali utilizzate sono le fotografie, fotografie che ? direi fortunatamente ? sono presenti in piccola quantità nel libro, ma che sono descritte dettagliatamente dall’autore che riesce in questo modo a moltiplicare le immagini, nella scrittura, e la consapevolezza della corporeità e della fisicità estrema della morte e, in questo modo, a mettere al centro della riflessione sulla guerra la morte. Un libro sulla violenza e sulla morte violenta che mostra quanto il modo di uccidere e il trattamento dei corpi morti ci dicano sull’uccisore e sulla guerra. Costruito in tre parti, una prima metodologica e sulle fonti, una seconda sulle guerre novecentesche e una terza sulle guerre più recenti, quelle che l’autore definisce della «contemporaneità post-novecentesca», e cioè i conflitti avvenuti all’indomani del crollo del muro di Berlino fino all’11 settembre e un po’ oltre, il libro è importante perché nel tentativo di storicizzare la morte, e quindi le forme della violenza, contribuisce fortemente a rinforzare l’importanza di questo tema e a rinnovarne l’attenzione nella ricerca storica. Parallelo a questo percorso è l’analisi delle foto, fonte principale della ricerca, e dei modi e delle forme della committenza di queste immagini, che molto dicono anche su chi compie violenze oltre che su chi le subisce. La dimensione di massa della violenza e della morte nel Novecento diviene in questo lavoro anche un’occasione per riflettere più complessivamente sulle istituzioni e sul loro rapporto con la guerra, con la violenza e con i corpi. L’ultima parte è per certi versi la più fragile, perché in essa la pregnanza dello studio sulla morte svanisce per dare spazio ad uno sguardo più generale (e talvolta generico) dei conflitti degli ultimi anni, ma è anche quella all’interno della quale si dimostra che anche nella differenza delle morti, delle tecniche di combattimento e del tipo di persone che combattono si può osservare un cambio di paradigma della contemporaneità sul quale anche lo storico deve riflettere: la perdita del monopolio della violenza da parte dello Stato, che si manifesta attraverso i kamikaze, m anche attraverso l’uso di soldati mercenari in misura altissima rispetto a precedenti fasi del ‘900.

Giulia Albanese