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Giovanni Paolo II e la fine del comunismo. La transizione in Polonia (1978-1989)

Massimiliano Signifredi
prefazione di Andrea Riccardi, Milano, Guerini e Associati, 495 pp., € 29,50

Anno di pubblicazione: 2013

L’elezione a papa dell’arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyła, il 16 ottobre 1978, costituisce un evento epocale non solo per la storia della Chiesa, ma anche per le dinamiche internazionali della seconda metà del ’900. Nel papato di Giovanni Paolo II è stato già individuato il suo fondamentale ruolo rispetto al crollo dei regimi dell’Est europeo, sul piano generale, e della Polonia in particolare. Alle tante opere dedicate al suo pontificato (tra queste la biografia di George Weigel e quella, più recente, di Andrea Riccardi) si aggiunge ora questa pregevole monografia che offre al lettore una dettagliata, ma sempre piacevole alla lettura, descrizione della percezione e degli effetti dell’azione del «papa polacco» nelle vicende nazionali, religiose e politiche del suo paese, dove i primi due elementi coincidono e l’ultimo ne è una conseguenza. In particolare nelle lotte contro il locale regime comunista controllato da Mosca e impersonato dal generale Wojciech Jaruzelski, di cui furono protagonisti Solidarność e il suo leader Lech Wałęsa.
Il lavoro è basato su un gran numero di fonti inedite, provenienti dagli archivi polacchi e dalle carte di Agostino Casaroli. Largamente utilizzata è la memorialistica polacca, per lo più sconosciuta all’estero: diari e appunti di Stefan Wyszyński, Bronisław Dąbrowski, Mieczysław F. Rakowski, Stanisław Kania, per citarne alcuni. Infine vanno segnalate alcune interviste ai protagonisti di quelle vicende: tra questi il già menzionato Wojciech Jaruzelski, Stanisław Dziwisz, Józef Glemp, Karol Modzelewski e Józef Czyrek. Dall’analisi dell’a. si può verificare che Giovanni Paolo II è fautore del dialogo e della diplomazia. Egli non rinnega l’Ostpolitik ma la integra con il suo apporto personale. L’azione del papa è complementare a quella di Casaroli, chiamato a succedere a Jean Villot come segretario di Stato. Certo l’elezione di Giovanni Paolo II provoca un terremoto a Est, come si vede nelle prime reazioni dei dirigenti dei paesi socialisti, che avvertono subito la minaccia proveniente da Roma. Eppure, nei rapporti con il governo di Varsavia e con tutto il blocco dell’Est, il papa alterna audacia e prudenza: lo si constata nell’equilibrio con cui viene gestita la transizione del 1989.
Infine, nel libro emerge la forza della Chiesa polacca. È quello polacco un cattolicesimo popolare, radicato nel paese, capace di resistere al comunismo lungo gli anni e di interloquire con tutte le forme di opposizione al governo. Wojtyła non accettava le analisi occidentali sulla secolarizzazione. Da Cracovia egli portava con sé la convinzione che la religione non fosse condannata a un ruolo marginale nella storia. Va sottolineato che il contributo principale di Giovanni Paolo II alla fine del comunismo è stata la liberazione dalla paura. Soprattutto con i viaggi nel suo paese d’origine (nel 1979, 1983 e 1987), egli ha dato coraggio ai polacchi, infondendo una carica spirituale ed emotiva sino ad allora sconosciuta. Questo elemento non va sottovalutato nelle analisi sulla fine della guerra fredda.

Massimiliano Valente