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Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto (a cura di) – Storia d’Italia. 6. L’Italia contemporanea – 1999

Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto (a cura di)
Laterza, Roma-Bari

Anno di pubblicazione: 1999

Due pubblicisti, sia pure con buone conoscenze storiografiche (Pierluigi Battista e Lucio Caracciolo), uno scienziato politico (Piero Ignazi), un economista (Michele Salvati), e due soli storici di “professione” (Vittorio Vidotto e Andrea Riccardi) sono gli autori dell’ultimo volume della Storia d’Italia curata da Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto: a dimostrazione da un lato della difficoltà a fare operazione storiografica quando la contemporaneità indica in senso proprio l’epoca che stiamo vivendo, dall’altro della necessità di incrociare, più che per altri periodi, gli approcci disciplinari. La mancanza di un corpus di fonti definito, e il rischio di analisi generiche e di scarso spessore interpretativo, possono così essere controbilanciati dal ricorso a molteplici competenze scientifiche. Il risultato è in termini generali positivo: al di là dell’ovvia differenza di stile e impostazione fra i singoli contributi – ineliminabile in opere di questo tipo – il volume rappresenta un serio tentativo interpretativo delle trasformazioni della società italiana in un periodo di intenso ritmo di cambiamento (a partire dalla conclusione del cosiddetto “miracolo economico” per arrivare alla crisi della “prima repubblica”).
Giustamente i due curatori sottolineano gli sforzi per evitare interpretazioni eccessivamente appiattite su un’impostazione etico-politica e pedagogica, a lungo prevalente nell’approccio alla storia dell’Italia contemporanea: l’analisi, a tutto campo, parte dalle trasformazioni della società – intense, rapide, e caratterizzate dal prevalere di una dimensione prepolitica nella fase finale del periodo – analizzate da Vidotto, affronta il tema centrale del ruolo e della crisi dei partiti (Ignazi), per approdare (con Caracciolo) al tema della ricerca di un’identità italiana di fine secolo, dopo aver approfondito i temi delle modifiche del mondo cattolico (Riccardi), delle trasformazioni economiche (Salvati) e della crisi delle ideologie (Battista).
Al di là dell’inevitabile difformità di impostazione, mi sembra che emerga, come costante del volume, la dimensione da un lato del mutamento – un mutamento peraltro non acriticamente esaltato, ma analizzato nel suo intreccio continuo fra moderno e tradizionale -, dall’altro dell’inadeguatezza delle funzioni di governo: inadeguatezza politica a governare le trasformazioni strutturali dell’economia (Salvati) e della società (Ignazi), ma anche della cultura a uscire da rigidità e schematismi (Battista).

Paolo Pezzino