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Giuseppe Mario Germani (Ceneselli 1896 – Trieste 1978). Una vita sacrificata per l’amico Giacomo Matteotti

Gabriele Antonioli
prefazione di Fabio Rugge, Badia Polesine, Minelliana, 269 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione: 2014

L’a., bancario di professione e cultore di storia, ha svolto una ricerca interessante su
un personaggio poco studiato. Il prodotto, dal titolo lungo e un po’ retorico, è un libro
coinvolgente, incentrato sulle carte d’archivio. Tuttavia i documenti, in primis le carte di
polizia, quando sono riportati integralmente appesantiscono la narrazione e, viste anche
alcune non trascurabili lacune storiografiche, non contribuiscono a chiarire a pieno il
quadro politico-culturale in cui Germani si mosse.
Volontario nella Grande guerra, medico (a Padova e a Trieste al fianco dell’amata
moglie Elsa Krückel), amico di Matteotti (la cui scomparsa segnò l’ingresso nella lotta
clandestina), socialista di formazione e poi militante di Gl, spiega Rugge, Germani non
si può inquadrare in una griglia ideologica. «Socialista, ma patriota; in forte contrasto
con i comunisti, ma certamente anti-fascista; si lascia definire liberale, ma non cela la sua
profonda fede religiosa, in contatto con i resistenti, ma […] anche con personalità del
regime fascista» (p. 11), egli sfugge a una precisa collocazione, nonostante i rapporti con
Matteotti (di cui tentò di far emigrare la vedova Velia e i figli), Rosselli, Tarchiani, Cianca,
Bauer e altri giellisti. Tra questi Ernesto Rossi, con cui nel 1960 ruppe dopo un polemico
scambio di lettere.
Fin dal suo arresto, nel 1931 al rientro da Parigi, Germani sostenne di essere stato
ingiustamente accusato poiché, oltre al progetto di far espatriare i Matteotti, non aveva
pianificato azioni violente. Fu processato come un «sovversivo» e condannato nel 1932
a dieci anni, nonostante i vertici di Gl avessero scritto al Tribunale speciale per chiarire
le sue responsabilità. Dopo sedici mesi a Roma, iniziò per Germani un calvario che lo
condusse a Spoleto e ad Alessandria, passando per Pisa. Fu provato dalla detenzione ma,
grazie all’impegno della moglie, il suo caso acquistò una risonanza internazionale. Salve-
mini si disse convinto dell’opportunità di organizzare una grande campagna di stampa
per la scarcerazione, Rosselli si mostrò più prudente. Fu Stefan Zweig, scrittore antinazi-
sta di origine ebraica, da tempo amico di Elsa e morto suicida nel 1942, a consentire la
liberazione di Germani scrivendo a Mussolini. Il duce, ringraziato da Zweig con parole di
ammirazione, lo graziò nel 1933 commutandogli la pena in cinque anni di confino.
Nel 1935, Germani tornò a Trieste e riprese la professione. Nel 1945 lasciò di nuovo
Elsa e il figlio Giovanni perché deportato a Mauthausen. Liberato, tentò di ricostruirsi
un’esistenza normale riuscendoci solo in parte. Dagli ultimi trent’anni di vita, trattati
molto rapidamente, emerge quasi esclusivamente la volontà di vedere riconosciuti i suoi
sacrifici al pari di quelli di più noti antifascisti. Di questo si lamentò con Croce (con cui
fu in rapporti dagli anni ’30) fino al 1950 quando il filosofo, colpito da ictus nel 1949,
non poteva più rispondergli. La sentenza che nel 1956 annullò quella del 1932 non servì
a lenire il suo livore, non sempre comprensibile.

Andrea Ricciardi