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Giuseppe Pardini – Roberto Farinacci, ovvero della rivoluzione fascista – 2007

Giuseppe Pardini
Firenze, Le Lettere, 471 pp., Euro 28,50

Anno di pubblicazione: 2007

La figura di Roberto Farinacci ha conosciuto nell’ultimo periodo una grande attenzione da parte della storiografia. Dopo il volume di Matteo Di Figlia, uscito con l’editore Donzelli, è apparsa per Le Lettere di Firenze un’altra biografia dedicata al ras di Cremona, scritta da Giuseppe Pardini, docente di Storia contemporanea presso l’Università del Molise.Se il testo di Di Figlia si concentra sulla analisi della retorica pubblica farinacciana, quello di Pardini si caratterizza invece per una trattazione di tipo più tradizionale. Ricorrendo a un’ampia mole documentaria, frutto di un ingente lavoro di ricerca archivistica, Pardini ripercorre con grande puntualità le varie fasi della vita politica di Roberto Farinacci. Chiamato a proporre una lettura complessiva dell’esperienza politica del ras di Cremona, dalla conquista, nel primo dopoguerra, del potere locale nella sua provincia, fino al ruolo di più importante sostenitore dell’alleanza con la Germania nazista sul finire degli anni ’30, l’a. conferma l’immagine nota di un Farinacci campione dell’ala radicale del primo fascismo, legata al mito della «rivoluzione» da compiere contro i poteri forti e i tradizionali bastioni del conservatorismo, Monarchia ed Esercito in primis. L’ampio network di personalità politiche ed economiche legate a Farinacci, presentato da Di Figlia come una delle tante strutture affaristiche createsi, negli anni della dittatura, intorno ai vari gerarchi in permanente lotta tra di loro, a parere di Pardini fu invece lo strumento di battaglia politica del leader dell’intransigentismo fascista. Alla stessa esigenza avrebbe risposto poi la rete spionistica disseminata in ogni angolo d’Italia dal ras di Cremona, la cui capacità di mantenere legami con i settori più radicali del fascismo avrebbe condotto alla formazione di una vera e propria «corrente farinaccciana» nel PNF, emarginata ma non sconfitta neppure dopo l’allontanamento, nel 1926, dalla segreteria nazionale del suo ispiratore.La presunta tensione moralizzatrice attribuita ai «farinacciani», motivo del grande consenso goduto presso la popolazione da questa anima del fascismo, ci sembra però risentire di un’eccessiva ricezione dell’auto-rappresentazione proposta da Farinacci e dal suo entourage, evidente anche nei giudizi giustificatori sul primo squadrismo fascista la cui violenza eversiva è schematicamente presentata come una sorta di ineliminabile necessità per far uscire l’Italia dalla crisi del 1919-21. Riducendo inoltre la forza di Farinacci al suo richiamo contro la corruzione e il malaffare si finisce forse per spiegare molto poco della sua capacità di rappresentare l’insieme delle pulsioni e degli stati d’animo di un pezzo importante della base del PNF. L’anima intransigente e radicale del fascismo, di cui indubbiamente Farinacci fu espressione, tanto da non poter mai essere completamente eliminato da Mussolini dalla scena pubblica, non viene infatti indagata nel suo reale portato politico. Cosa sia stato il «fascismo-movimento» di defeliciana memoria rimane dunque una questione storiografica ancora aperta.

Tommaso Baris