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Giuseppe Parlato – Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948 – 2006

Giuseppe Parlato
Bologna, il Mulino, 438 pp., euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2006

Il fenomeno del neofascismo è stato oggetto di qualche interesse di storici e politologici, ma sinora non aveva goduto di una vera e propria ricostruzione storiografica. Il volume di Parlato colma indubbiamente questa lacuna ripercorrendo, con ricca documentazione e con dovizia di particolari, la riorganizzazione delle forze fasciste dalla caduta di Mussolini sino alle elezioni del 1948 che portarono in Parlamento la prima piccola pattuglia di eletti nelle fila del nuovo partito del MSI. La narrazione si divide sostanzialmente in tre parti. La prima riguarda l’azione dei superstiti del fascismo nel Regno del Sud e comunque al di fuori della Repubblica di Salò. In essa si intreccia anche la questione dei rapporti degli Alleati, specialmente degli americani, con questi gruppi. La seconda traccia una mappa degli eventi che intercorrono grosso modo tra la conclusione della guerra e la prima stabilizzazione della nuova vita democratica che si ha con il referendum istituzionale e con l’avvio della Costituente. La terza ed ultima prende in considerazione l’ingresso del neofascismo nel nuovo universo della «repubblica dei partiti» con una opzione per la legalità, ma anche per il mantenimento di una scelta «identitaria» rispetto alle origini del movimento. La ricostruzione di questo panorama si fonda in gran parte su documenti interni del neofascismo che hanno come contraltare solo valutazioni di polizia che, ovviamente, rispondono a finalità di ordine pubblico più che di valutazione storico-politica. Inevitabilmente dunque si finisce per avere in molte parti una visione come dire «esaltata» di queste imprese, da parte di personalità che si illudono di collocarsi al centro della storia. Non ci pare per esempio particolarmente geniale la scelta «anticomunista» come via per la reinserzione nel gioco politico «occidentale»: ci provarono anche i nazisti. Le incerte ed ambigue aperture dei servizi di intelligence verso uomini e gruppi del neofascismo non provano gran che: pescare a 360 gradi nel torbido è, in definitiva, il loro mestiere. Offre spunti di riflessione interessanti la ricostruzione delle aspettative escatologiche del neofascismo circa lo scoppio della «rivoluzione comunista» che li avrebbe rimessi in gioco. Se Parlato porta molti documenti per mostrare quanto questo retaggio della cultura politica degli anni Venti e Trenta giocasse per garantire aperture verso i neofascisti in vari ambienti (nelle istituzioni, in ambienti ecclesiastici, ecc.), rimane il fatto che questa era una analisi velleitaria e fuori tempo. Assai più interessante è la ricostruzione della strategia di reingresso nel sistema politico di questa quota di società italiana. Anche qui sarebbe forse da chiedersi se l’intuizione vincente non sia stata tanto quella che si illudeva circa spazi per la ricostruzione di una «grande destra» (Romualdi), quanto quella di chi (Almirante) aveva percepito che nella «repubblica dei partiti », organizzata su subculture identitarie, la creazione di un nuovo partito con quelle caratteristiche aveva tutte le chance di riuscita.

Paolo Pombeni