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Gli italiani di Dalmazia e le relazioni italo-jugoslave nel Novecento

Luciano Monzali
Venezia, Marsilio, 736 pp., € 51,00

Anno di pubblicazione: 2015

L’imponente lavoro è il punto di approdo di almeno quindici anni di studi dedicati
dall’a. alla minoranza italiana in Dalmazia tra l’800 e il ’900, compulsando fonti archivistiche,
memorialistica e storiografia in lingua italiana e serbo-croata (sic!), nonché nelle
principali altre lingue europee. Benché incentrato sulle vicende politiche dei dalmati italiani
il lavoro contempla fin dal titolo le relazioni italo-jugoslave nel ’900; ma l’a. lascia
largo spazio alla storia dei popoli slavo-meridionali prima e dopo la formazione del Regno
jugoslavo, della Repubblica federativa e degli Stati successori. Ne risultano tre storie profondamente
intrecciate al centro delle quali rimangono le vicende dei dalmati italiani.
L’opera si può dividere a grandi linee in quattro parti. La prima è dedicata alla presenza
italiana in Dalmazia nell’epoca del Risorgimento italiano e della costruzione delle
identità nazionali slavo-meridionali, in risposta alle quali i dalmati italiani sarebbero passati
dalla rivendicazione di un’autonomia regionale nell’ambito dell’Impero asburgico a
una scelta nazional-irredentista. Come tale scelta si colleghi alle aspirazioni espansionistiche
del Regno d’Italia e ai programmi degli ambienti nazionalisti e dannunziani durante
e subito dopo la prima guerra mondiale è il tema della seconda parte. Oggetto della terza
parte sono le vicende della minoranza italiana in Dalmazia nei rapporti con il fascismo sia
durante la tribolata vita del Regno jugoslavo che nel corso della seconda guerra mondiale.
Nella quarta parte, per certi versi la più originale e interessante, vengono narrati non solo
l’esodo della comunità italiana, lo sviluppo dell’associazionismo dei profughi e il suo rapporto
con la politica italiana verso la Jugoslavia e gli Stati successori, ma anche le vicende
degli italiani che scelsero di rimanere in Jugoslavia: qui la storia degli italiani di Dalmazia
confluisce largamente in quella più generale dei profughi della Venezia Giulia.
La prima impressione che si ricava è di una comunità che, per difendere al cospetto
di una maggioranza slava la propria identità (ma anche i suoi antichi privilegi, che l’a.
sembra sottacere) e per rivendicare poi il ritorno della sua terra all’Italia, abbia cercato
sempre, pur nelle sue divisioni interne, di ingraziarsi il governo, prima asburgico, poi
italiano, liberale, fascista o democristiano che fosse. Questo è cessato quando i governi
italiani hanno iniziato a perseguire una politica di accordo con la Federazione jugoslava,
sicché una parte importante dell’associazionismo degli esuli ha fatto una scelta a favore
dell’opposizione di destra, mentre un’altra parte ha continuato a cercare l’appoggio dei
governi di Roma per mantenere viva in Istria e in Dalmazia una specifica tradizione
culturale italiana, non senza qualche importante successo. In una storia dichiaratamente
etnocentrica che differisce nell’impianto da quelle, ad esempio, di Ivetić, Cattaruzza o
Wörsdörfer, tese a ricostruire le complesse vicende di quei territori, risultano forse inevitabili
le incomprensioni delle ragioni degli «altri», nella fattispecie dei popoli jugoslavi.

 Armando Pitassio