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Guido Crainz – Autobiografia di una repubblica. Le radici dell’Italia attuale – 2009

Guido Crainz
Roma, Donzelli, IX-241 pp., euro 16,50

Anno di pubblicazione: 2009

Con questo nuovo libro, potremmo dire che si chiude un ciclo di quella storia della Repubblica che Crainz aveva incominciato nel 1997 con la pubblicazione, presso lo stesso editore, di Storia del miracolo italiano e che aveva poi avuto una seconda tappa significativa nel 2003 con Il paese mancato. Se nei primi due libri Crainz aveva ricostruito i diversi passaggi che hanno caratterizzato la costruzione di quella che Piero Craveri ha definito la «difficile» democrazia italiana, in questo ultimo ha cercato, ripercorrendo a volo d’uccello gli anni che dalla ricostruzione arrivano all’oggi, di capire perché l’approdo del difficile percorso che la giovane Repubblica, costituitasi nel ’46 sulle ceneri del regime fascista, ha compiuto è il paese che ci sta davanti, nel quale la democrazia è ormai strutturalmente debole, le regole del gioco sono quanto mai incerte e il senso dello Stato resta un indescrivibile desiderio.È una constatazione amara quella a cui arriva Crainz, soprattutto ripensando alle possibilità che il paese avrebbe potuto fare proprie negli anni della ricostruzione, in quelli del centro-sinistra, nelle istanze profonde dei movimenti di fine anni ’60 tutte, invece, costantemente disattese. Valga ad esempio il difficile passaggio dell’inizio degli anni ’70 quando, come ricorda Crainz (p. 83), con estrema lucidità Ugo La Malfa, nella sua Nota aggiuntiva al Bilancio del 1962, mise la classe politica di fronte ad un’impietosa analisi degli squilibri «settoriali, regionali e sociali» e alla necessaria programmazione economica per porvi rimedio.Recensendo il libro di Crainz Piero Ignazi (Repubblica senza radici, «Il Sole 24 ore», 18 ottobre 2009) gli ha imputato di essersi fermato alle origini della Repubblica ignorando quella contiguità e continuità con il fascismo che molto potrebbe spiegare di quella tendenza all’illegalità che sembra accompagnare il sistema politico italiano assuefacendolo, come hanno scritto Ornaghi e Parsi, a «comportamenti a vario titolo illeciti» (La virtù dei migliori, Bologna, il Mulino, 1994, p. 65). In realtà c’è un passo, a mio avviso, molto eloquente dove Crainz mette ben in evidenza come il passaggio del ’43, con la caduta del regime che esso porta, non significhi affatto la fine del sistema paese che il fascismo ha costruito: «Non possono dissolversi come neve al sole quegli abiti mentali» (p. 29). Una certa assuefazione al considerarsi al di sopra delle norme, all’idea che le regole possano piegarsi all’evolversi degli eventi e non viceversa è entrata nel dna dell’Italia condizionandone pesantemente la crescita e facendo sì che questo paese a democrazia debole sia rimasto costantemente legato a questa possibilità.La tentazione di scendere, di allontanarsi, dice Crainz, chiudendo, è tanta, ma ciononostante l’a., che nella sua Autobiografia di una repubblica più che in ogni altro suo scritto mette in evidenza la passione per questa nostra storia in cui, come diceva in una sua canzone De André, «siamo per sempre coinvolti», afferma di rimanere al suo posto pur sapendo che il futuro sarà difficile.

Maria Serena Piretti