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Guido Crainz – Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta – 2003

Guido Crainz
Roma, Donzelli, pp. 627, euro 29,00

Anno di pubblicazione: 2003

Non è semplice stabilire cosa sia ?un giudizio storico?, ma bisognerebbe mettersi d’accordo su questo punto prima di passare all’esame di un volume complesso che è tutto un ?giudizio?. Si può cominciare già dal titolo, chiedendosi appunto cosa voglia dire che un paese è ?mancato?: che non corrisponde ad un modello? Che non rientra in uno standard degli altri paesi con cui è comparabile? Che non rispetta canoni etici o ideologici o di altro tipo? Questo studio, indubbiamente appassionato e frutto di un notevole lavoro di raccolta di materiali, rilancia le questioni di cui sopra pagina dopo pagina. Il contenuto da un certo punto di vista è presto riassunto: la storia d’Italia dagli inizi degli anni ’60 alla fine degli anni ’80 (sebbene l’ultimo decennio sia comprensibilmente il meno sviluppato).
La ricostruzione pone invece più di un problema. In prima istanza, per un certo sbilanciamento nell’uso delle fonti: moltissimo (e di grande interesse) sulla storia del PCI, dove l’autore ha potuto godere dell’accessibilità degli archivi garantita dall’Istituto Gramsci, molto meno sulla storia della DC, assai poco rappresentata come materiali interni, quasi assenti le altre forze politiche; una certa attenzione al mondo cattolico, ma solo nella sua componente contestativa, saltando anche qui l’analisi dei ?gruppi dirigenti?. Vi è stata certo una puntigliosa raccolta di materiali giornalistici, ma quanto sono affidabili gli articoli ed i fondi dei giornali per interpretare un passaggio storico, sia come documentazione, sia come fonte di ?interpretazione??
Proprio perché si tratta di un libro niente affatto banale, queste domande invitano a riflettere seriamente sul nodo storico degli anni ’60-’70. Leggere tutto come una parabola generazionale o, peggio, con gli occhi della nostalgia per la grande stagione dei ?movimenti? non sappiamo quanto aiuti (e Crainz non riesce a sottrarsi a questo sottile fascino). Prendiamo un esempio che ci ha colpito: la ricostruzione della stagione della contestazione studentesca ed operaia. L’autore ha tratto dagli archivi dello Stato centinaia di rapporti di carabinieri, prefetti e questori, ha citato sentenze della magistratura ed ha usato come controcanto lo stracciarsi le vesti del giornalismo intellettual-radicale. Eppure si può chiedersi se quello che emerge alla fine sia il ritratto di un’epoca o una sua caricatura stereotipata. Perché è troppo facile compiacersi a rivedere quanto erano ?cretini? i tutori dell’ordine costituito, magari evitando anche di sorridere di fronte a non poche ingenuità e immaturità che stavano dall’altra parte. Uno storico ? pensiamo noi ? dovrebbe chiedersi perché gli uni erano così ?cretini? e gli altri così ingenui e sognatori. Una domanda difficile da eludere, se si pensa a cosa avvenne dopo, al pochissimo che lasciano in eredità i ?cretini?, ma all’altrettanto poco della contestazione. La nostra impressione è che l’Italia entri in una spirale di crisi proprio per le perversità legate a queste dialettiche, in cui nessuna forza è veramente interessata a promuovere un ?sistema? che si confronti con una trasformazione sociale seriamente analizzata e compresa (basti pensare all’università, rimasta ancora oggi senza un modello di riferimento).

Paolo Pombeni