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Heike B. Görtemaker – Eva Braun. Vivere con Hitler – 2011

Heike B. Görtemaker
Milano, Mondadori, 299 pp., Euro 21,00 (ed. or. München, 2010)

Anno di pubblicazione: 2011

Scopo dichiarato di Görtemaker è dimostrare che «Eva Braun si conquistò già a vent’anni, e a prezzo di costose rinunce, un posto accanto a Hitler che non poche le invidiarono», un posto che, «seppure ambiguo», la fece entrare nella storia (p. 219). L’incontro tra i due era avvenuto nello studio fotografico di Heinrich Hoffmann, dove Eva lavorava, nell’autunno del 1929, a Monaco. Hoffmann aveva precocemente messo «le sue competenze al servizio dell’emergente movimento nazionalista di estrema destra» [sic] (p. 11). Rispetto all’immagine tradizionale della donna «al focolare» coltivata dal Terzo Reich, Eva si pone in controtendenza: lavora, è sportiva, viaggia, legge Oscar Wilde, apprezza il jazz e segue la moda. Una donna moderna, quindi, che tuttavia non si fa scrupolo di utilizzare strumenti tradizionali della seduzione femminile per legare Hitler sempre più strettamente a sé. La prima volta fu nell’autunno del 1932, in pieno clima elettorale, quando ancora il futuro cancelliere lottava per garantirsi la salita al potere. Lei cercò di togliersi la vita con una pistola, in Hohenzollernstraße 93, nell’abitazione dei genitori, dove allora viveva, e in seguito a ciò Hitler ebbe a dichiarare a Hoffmann «di doversi “da ora in poi occupare di lei” perché una cosa simile non doveva “ripetersi”» (p. 48). Da allora la sua altalenante relazione con Eva sarebbe diventata fissa. Il secondo tentativo fu nel 1935, con una «overdose di pillole» (p. 85). Benché gli eventi attorno all’episodio siano poco chiari, l’a. ritiene una conseguenza di questo gesto il fatto che «il 9 agosto 1935» ella abbia lasciato «la casa dei genitori e si [sia trasferita] […] in un trilocale affittato da Heinrich Hoffmann al 42 di Widenmayerstraße» (p. 86), a cinque minuti dalla abitazione monacense di Hitler. Sebbene nel clima di discrezione rivendicato dal Führer, gradualmente la presenza della Braun nella vita di lui sarebbe cresciuta, sino a fare dell’Obersalzberg, la residenza estiva del compagno, la sua seconda casa (p. 110) e a renderla vieppiù partecipe alle ricorrenze ufficiali del Terzo Reich. Sino alla celebrazione delle nozze dei due nel Bunker di Berlino, celebrate poco tempo prima del suicidio. Di là dal tentativo interessante di focalizzare meglio la figura di Eva Braun nella storia, spesso relegata giornalisticamente ai margini delle vicende del nazionalsocialismo e della vita del Führer, il limite invalicabile del libro è la scarsa base archivistica su cui si regge; data la carenza di fonti la narrazione è spesso costretta ad affidarsi alle testimonianze dei coevi, oltre che a un diario della stessa Braun, della quale è dubbia la veridicità. Ne risulta un testo costellato da troppi «se» e «ma», che poco restituiscono dello svolgersi dei fatti e ancor meno di quello che avrebbe dovuto essere il fuoco dell’analisi: il ruolo di Eva Braun nella vita del Führer e nei gangli del Terzo Reich.

Giovanna D’Amico