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Hubert Wolf – Storia dell’Indice. Il Vaticano e i libri proibiti – 2006

Hubert Wolf
Roma, Donzelli, VI-280 pp., euro 27,00 (ed. or. München, 2006)

Anno di pubblicazione: 2006

Hubert Wolf è professore di Storia della Chiesa all’Università di Münster e coordinatore da anni del progetto «Römische Inquisition und Indexkongregation» che, a partire dal 1998, data di apertura degli archivi della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Santo Ufficio), ha avviato una serie di accuratissime ricerche su quei fondi che hanno già prodotto una notevole quantità di studi sulle attività della Congregazione dell’Inquisizione e dell’Indice dal XVI al XX secolo. Il presente libro, che tende a presentarsi come una storia generale degli indici dei libri proibiti dalle origine cinquecentesche all’abolizione nel 1966, è in realtà dedicato prevalentemente alle vicende ottocentesche, all’interno delle quali l’attenzione principale è rivolta alle vicende proibitorie di nove autori, quasi tutti tedeschi: Adolph von Knigge, autore di un trattato di buone maniere; i letterati Heinrich Heine e Karl May; i teologi cattolici Johann Sebastian Drey, Johann Michael Sailer e Augustin Theiner; lo storico protestante Leopold von Ranke, per la sua Storia dei papi e il cattolico Franz Heinrich Reusch per la sua storia degli indici, e ? unico caso non tedesco ? la scrittrice americana Harriet Beecher Stowe per La capanna dello zio Tom. Di questi solo le vicende di Heine, Ranke e Theiner si conclusero con verdetto di condanna e con l’inserimento nell’Indice. Il volume è inoltre corredato da una bibliografia delle edizioni romane dell’Indice, da un elenco di alcuni dei libri condannati tra ‘700 e ‘900 e da una lista di opere processate, ma non condannate. I casi esposti sono certamente di grande interesse poiché consentono di entrare nei meccanismi interni della Congregazione e di comprendere, seguendo le relazioni dei consultori e le discussioni che si svolsero, le ragioni che portavano alla proibizione o all’assoluzione di determinati libri. Particolarmente illuminante ad esempio è la discussione sull’opera di Reusch che costituisce la premessa di un ripensamento in seno alla Congregazione stessa circa il ruolo e la funzione dell’Indice alla fine del XIX secolo e la sua possibile riduzione da strumento con pretese di universalità a repertorio che limitava la propria attenzione all’ambito della fede. L’interesse indiscutibile dei nove casi presi in considerazione lascia tuttavia dubbi attorno a quanto questi possano essere stati significativi in un secolo in cui finì all’Indice buona parte della cultura contemporanea, da Rosmini al modernismo, da Leopardi a Flaubert. Si tratta inoltre di una storia interna dell’Indice, vista dal punto di vista della documentazione romana, che se tiene certamente conto delle specifiche implicazioni politiche e culturali legate ad ogni singolo episodio, non sempre consente di comprendere l’effettiva incidenza di questo strumento di controllo nelle società del tempo, tanto più che, rispetto ai secoli precedenti, quando in alcuni Stati le proibizioni di Roma avevano effetto normativo, l’Ottocento vide una profonda trasformazione dei sistemi di controlli dei vari Stati e dei rapporti tra istituzioni ecclesiastiche e laiche.

Mario Infelise