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I naufraghi del Don. Gli italiani sul fronte russo. 1942-1943

Giulio Milani
Bari-Roma, Laterza, 338 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2017

La partecipazione italiana all’operazione Barbarossa, che prese il via all’alba del 22 giugno 1941, ha rappresentato uno degli eventi militari del ’900 di maggiore impatto sulla memoria collettiva italiana. Il libro di Milani, con un titolo dal forte impatto emotivo, si concentra in particolare sulle vicende dell’Armir raccontate dagli ultimi protagonisti, privilegiando l’aspetto memorialistico piuttosto che storiografico, come dimostra la Bibliografia riportata alla fine.
Quando prese il via l’operazione Barbarossa Mussolini decise di inviare, al fianco della Germania nazista, un Corpo di spedizione (il Csir) che partì alla volta della Russia nell’estate del 1941. Le ragioni di tale decisione, che portavano l’Italia a impegnarsi su un ulteriore importante fronte di guerra, sono state esaminate in recenti studi e avevano alla base una motivazione ideologica, una strategica e una economica. Nel primo caso Mussolini riteneva che, malgrado Hitler non glielo avesse chiesto, l’Italia non poteva esimersi dal partecipare a quella impresa dal momento che egli si considerava il primo alleato della Germania; da un punto di vista strategico, l’idea del duce era che la partecipazione italiana all’operazione «Barbarossa» avrebbe contribuito a impedire che l’Urss arrivasse, attraverso il mar Nero, fino al Mediterraneo, scippandone all’Italia il controllo a est. L’altra ragione basilare era quella energetica: la volontà di Mussolini di spartire il bottino russo, in particolare il petrolio, in proporzione all’impegno militare.
Il volume di Milani non si preoccupa di dare un quadro della situazione internazionale; la scelta dell’a. è quella di una narrazione, una sorta di romanzo storico dove l’a. si limita a rielaborare gli studi già svolti sul tema, concentrandosi sui ricordi dei reduci. Come si evince dal prologo, la narrazione si dipana dall’avvio dell’Operazione «Piccolo Saturno» e procede attraverso il racconto di battaglie memorabili, come quella di Nikolaevka del 26 gennaio 1942, per arrivare alla tragedia della ritirata dell’Armir e della prigionia di quanti non riuscirono a ripiegare.
Nell’ultimo capitolo – dedicato al difficile reinserimento dei prigionieri e alla rielaborazione della sconfitta – si ricorda il caso Leopoli, scoppiato negli anni ’80, dove, secondo fonti sovietiche, i tedeschi avrebbero ucciso circa duemila soldati italiani che però non appartenevano all’Armir ma, come ricorda l’a., alle migliaia di Imi (internati militari italiani) finiti prigionieri dei tedeschi dopo l’8 settembre 1943, che furono deportati nei lager del Reich per essere sfruttati come manodopera. Leopoli dunque «come il corrispettivo, sul fronte orientale, del massacro della Acqui a Cefalonia e Corfù» (p. 292).