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I sensi e il pudore. L’Italia e la rivoluzione dei costumi (1958-68)

Liliosa Azara
Roma, Donzelli, X-230 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il volume si articola in sei capitoli. Nel primo l’a. ripercorre il dibattito che porta all’approvazione della legge Merlin, che abolisce com’è noto la prostituzione regolamentata in Italia. È il 1958. Questa riforma – alla quale l’a. ha già dedicato studi precedenti – è il prisma attraverso il quale guardare al decennio precedente e a quello successivo. Nel secondo capitolo si seguono infatti le tracce di un’inquietudine che attraversa gli anni ’50 e che si riflette nel tentativo (per lo più vano) di controllare, attraverso misure di polizia, l’esposizione dei corpi nello spazio pubblico, dall’abbigliamento dei turisti stranieri nelle città d’arte ai costumi da bagno via via più succinti.
Nel terzo capitolo si torna alla prostituzione, a quella clandestina che l’analisi di un processo per «tratta» permette di delineare in alcune possibili dinamiche sociali. Ma sono soprattutto le paure per il diffondersi delle malattie veneree a porre la questione della prostituzione clandestina al centro di un dibattito negli anni ’60, quando a più riprese la legge Merlin è messa in discussione per la «libertà» concessa alle prostitute. Al tema è dedicato il quarto capitolo, che è seguito da un quinto ove l’a. dà conto dello sgomento che assale l’opinione pubblica conservatrice al cospetto di nuove forme di prostituzione, qual è quella delle «ragazze squillo», che restituiscono l’immagine di un paese nel quale il confine tra donne oneste e donne perdute – cioè sessualmente libere – va sfumando. Sullo sfondo operano mutamenti di natura più ampia; e il colpo di grazia alle aspettative di chi vorrebbe ricondurre all’ordine i costumi sessuali sembra assestarlo allora – suggerisce l’ultimo capitolo – il noto scandalo de «la Zanzara», il giornale degli studenti del liceo Parini di Milano, con la sua inchiesta sulla sessualità delle ragazze. È il 1966. Il processo per oscenità si celebra con il pressoché unanime disappunto dell’opinione pubblica nei confronti di un moralismo ritenuto anacronistico. Una «rivoluzione» nei costumi si direbbe a questo punto compiuta.
Pur confermando un quadro interpretativo d’insieme già condiviso dalla storiografia, il libro presenta nondimeno un grosso pregio, quello di fondarsi su una ricerca in primo luogo d’archivio molto estesa e, in particolare, sull’analisi delle carte della Direzione generale di polizia del Ministero dell’Interno. E proprio queste fonti fanno emergere – tra le altre cose – un tema di rilievo, quello del rapporto tra misure di polizia, istituti «preventivi» e tutela delle libertà individuali in uno Stato democratico (sullo sfondo c’è l’art. 13 della Costituzione). Le prostitute si trovano al centro di uno scontro tra concezioni di- verse di questo rapporto. E il pudore pubblico è in generale il terreno non occasionale sul quale si gioca un equilibrio difficile, rispetto al quale le linee di continuità e gli elementi di cesura tra Stato liberale, regime fascista e Italia repubblicana meriteranno ulteriori riflessioni, a partire dagli innumerevoli spunti che questo volume fornisce.

Domenico Rizzo