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I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande guerra

Christopher Clark
Roma-Bari, Laterza, 716 pp., € 35,00 (ed. or. London, 2013, trad. di David Scaffei)

Anno di pubblicazione: 2013

Nell’ormai vasto panorama delle opere dedicate alla Grande guerra, il volume di Clark offre uno dei racconti più dettagliati delle fasi che precedettero lo scoppio del conflitto. E lo fa con una scansione narrativa molto particolare. Se infatti riserva ai decenni precedenti al 1914 buona parte dell’opera offrendo un quadro ricco – forse eccessivo – delle relazioni internazionali e della politica interna dei principali Stati europei, il ritmo improvvisamente rallenta nell’ultima parte dove i tragici giorni dell’estate 1914 vengono come fissati in un fermo immagine. Dichiaratamente disinteressato al tema delle colpe, l’a. ricostruisce il come, i meccanismi attraverso i quali maturò la grande crisi. Una fitta rete di relazioni diplomatiche, storie dinastiche, relazioni tra militari e civili nei singoli stati, interessi economici, brevi e talvolta gustose annotazioni su regnanti e politici, orientamenti dell’opinione pubblica (in verità solo poche osservazioni) va così componendosi sotto gli occhi del lettore. Ed è da questo intreccio – le cui pericolose potenzialità si erano già manifestate nel decennio precedente – che sarebbe maturata la prima catastrofe del secolo, non senza la complicità degli attori finali, politici e militari, i sonnambuli appunto, che come sospesi sulla polveriera europea optarono per il rischio dell’intervento militare nella convinzione di poter circoscrivere il conflitto.
Quanto mai attento a evitare una lettura «colpevolizzante» della crisi o volta a proiettare retrospettivamente su quella estate indizi di vicende successive, l’a. rimane però intrappolato proprio nel gioco del prima e del dopo. Come è stato possibile – questa la domanda alla base del volume – che l’Europa sia corsa senza avvedersene verso la più grande catastrofe della sua storia? Il punto di partenza sembra insomma essere ancora la consapevolezza acquisita ex post del valore epocale del conflitto 1914-1918 quale inizio della modernità, quando una ricca letteratura storiografica ha ormai illuminato il carattere premoderno della crisi. In fondo il quadro offertoci anche da questo stesso volume è quello di un intreccio politico-diplomatico assai più complicato e difficile ma non diverso da quello dei decenni precedenti: quasi tutti gli attori giocarono una partita a scacchi convinti di poter o dover assumere un rischio calcolato. Il saggio finisce insomma per confermarci la genesi quasi «antica» della guerra, iniziata come un conflitto ottocentesco e trasformatasi ben presto in un’apocalisse novecentesca. Un’ultima annotazione. Dispiace dover rilevare come anche in un volume così ricco la storia italiana non solo trovi poco spazio ma anche e soprattutto riferimenti imprecisi. A parte infatti l’attribuzione (frutto di una lettura retrospettiva) di inaffidabilità all’Italia nell’ambito della Triplice in tempi non «sospetti», e altre inesattezze, fa un certo effetto apprendere che i socialisti italiani furono in fondo favorevoli alla guerra di Libia. Più che una forzatura alla storia italiana, pare essere una semplificazione della storia europea alla cui complessità il libro è in fondo dedicato.

Barbara Bracco