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Il grande mare. Storia del Mediterraneo

David Abulafia
Milano, Mondadori, 695 pp., € 35,00 (ed. or. London, 2011, trad. di Luca Vanni)

Anno di pubblicazione: 2013

Qualche anno fa David Abulafia aveva curato un volume collettaneo (The Mediterranean in History, London 2003) che si proponeva di reagire al determinismo ambientale di Braudel e di rivendicare l’importanza decisiva dell’azione umana. Che lo stesso obiettivo guidi questo suo nuovo e corposo lavoro appare evidente sin dal sottotitolo originale (A Human History of the Mediterranean), mutilato in un’edizione italiana che si vale della attenta traduzione di Luca Vanni. L’a. peraltro sottolinea che il libro «mira a porre in risalto l’esperienza degli uomini che hanno attraversato il mar Mediterraneo o vissuto in porti e isole con legami di dipendenza vitale dalla sfera marina. L’iniziativa umana ha contribuito a plasmare il corso della storia mediterranea molto più di quanto Braudel sia stato disposto ad ammettere» (pp. 15-16). Una seconda differenza rispetto a Braudel, e anche al discusso studio di Horden e Purcell (The Corrupting Sea, Oxford 2001), è in effetti la centralità assegnata al mare e a coloro che l’hanno solcato piuttosto che alle masse terrestri che lo circondano. Diversamente da Braudel, infine, l’a. non cerca persistenze ma ripercorre la storia mediterranea dal 22.000 a.C. al 2010 suddividendola in cinque fasi così da delineare «il processo attraverso il quale il Mediterraneo si è costituito in varia misura in un’unica area commerciale, culturale e (almeno sotto i romani) politica, e il modo in cui questi periodi di integrazione sono talvolta sfociati in una violenta disintegrazione» (p. 3).
La storia del Mediterraneo è per Abulafia innanzitutto una storia commerciale e le sue vere protagoniste sono le città portuali e le comunità di mercanti di cui brulicavano. Al loro interno spicca la presenza ebraica, sulla quale l’a. si sofferma ripetutamente non nascondendo le proprie origini sefardite: «Grande Mare» (Yam gadol) è il nome che al Mediterraneo hanno dato gli ebrei. Il cosmopolitismo e il plurilinguismo delle città portuali, più spesso luoghi di pacifica convivenza che di conflitto e ghettizzazione, emergono come l’autentico tratto distintivo della storia mediterranea nel lungo periodo. L’avvento dei nazionalismi del XX secolo avrebbe però segnato una dolorosa cesura portando città come Salonicco, Smirne o Alessandria ad assumere un’identità esclusiva, greca, turca o egiziana.
Questa è forse la tesi che più interesserà i contemporaneisti. Ma il libro non si presta alla consultazione rapsodica e richiede di essere letto per intero, così come la storia di una regione – o di un mare – si può comprendere, secondo l’a., soltanto ricostruendola per intero dai suoi lontani inizi. Abulafia si avvicina qui singolarmente a Braudel, che nelle sue postume Memorie del Mediterraneo (trad. it. Bologna 2004, p. 15) giustifica la rischiosa scelta di abbandonare il fidato XVI secolo per avventurarsi nella preistoria e nell’antichità sostenendo che «non esiste storia veramente comprensibile se non ampiamente estesa attraverso l’intero tempo degli uomini».

Pier Paolo Viazzo