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Il Pilastro. Storia di una periferia nella Bologna del dopoguerra

Giovanni Cristina
FrancoAngeli, 299 pp., € 35,00

Anno di pubblicazione: 2017

Questo libro – frutto di una lunga ricerca, avviata dall’a. per la tesi di laurea e proseguita
poi nel corso degli anni – si colloca nel solco di una storiografia urbana sui quartieri
novecenteschi di nuova edificazione alimentata soprattutto dagli studi su Roma e in
primo luogo dalla ormai nutrita serie di volumi pubblicati per gli stessi tipi FrancoAngeli
sotto la guida di Lidia Piccioni. Oggetto dello studio è il Pilastro, quartiere di edilizia
residenziale pubblica costruito a partire dagli anni ’60 dallo Iacp (Istituto autonomo case
popolari) di Bologna nell’estrema periferia nord-orientale del capoluogo felsineo.
La genesi e lo sviluppo del quartiere, a partire dall’acquisizione dell’area da parte dello
Iacp e dalla progettazione del nuovo complesso, sono ricostruiti nel secondo capitolo,
nel quale si segue passo per passo il «macchinoso processo di cambiamenti, rinvii, adeguamenti,
financo stravolgimenti del piano originario che finì per pregiudicare ulteriormente
gli esiti della costruzione di un quartiere già concepito in una posizione infelice» (p. 118).
Cruciali risultarono i ritardi e le manchevolezze nella realizzazione delle opere di urbanizzazione
e nella dotazione di servizi, che determinarono gravi problemi per gli abitanti
e compromisero la progettata autosufficienza del quartiere, tramutandola – complice la
localizzazione decentrata – in isolamento. Tra i temi affrontati nel terzo e ultimo capitolo
spiccano invece da un lato la costruzione dell’«antimito» del Pilastro quale periferia degradata
e malfamata, e dall’altro – soprattutto – le forme di partecipazione e mobilitazione
degli abitanti a livello di quartiere. Ci si concentra in particolare sulle attività di un Comitato
inquilini vicino al Pci che fu molto attivo negli anni ’60-’70 intrecciando azione
rivendicativa e iniziative di protesta e di lotta al dialogo e alla ricerca di mediazione con
le controparti istituzionali.
In apertura del volume l’a. dichiara che questa storia di un quartiere intende «contribuire
a spiegare la storia di un’intera città» (p. 9). Credo vadano lette in quest’ottica
l’estensione dell’arco cronologico preso in considerazione (da metà ’800) e l’ampiezza dei
temi chiamati in causa nel lungo primo capitolo introduttivo, che copre un centinaio
di pagine: esse però, a mio giudizio, risultano piuttosto dispersive e vanno a detrimento
di una più rigorosa focalizzazione della ricerca. Tuttavia, questo è senz’altro un lavoro
molto interessante che va ad arricchire il patrimonio di studi sulla Bologna del secondo
dopoguerra, con il non trascurabile merito di spostare il focus dalle più note operazioni
di carattere urbanistico e sociale realizzate nel centro storico e nella prima periferia – che
hanno concorso ad alimentare l’immagine del capoluogo felsineo come modello di buongoverno
municipale – alle modalità di produzione di uno spazio urbano «marginale» e ai
problemi ma anche alle potenzialità di un quartiere pubblico «difficile» sorto nell’ambito
della grande espansione degli anni del boom.

Bruno Bonomo