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Il ruggito del Leone. Hollywood alla conquista dell’impero dei sogni nell’Italia di Mussolini

Gian Piero Brunetta
Venezia, Marsilio, 314 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2013

Nel 1926 il giovane Cesare Pavese così scriveva all’attrice Lillian Gish: «I know you
very well. I have followed you in all your films and have (how must I tell?) admired you
with all my heart». La dichiarazione d’amore del futuro scrittore alla diva d’oltreoceano
appare nella sua immediatezza e ingenuità come un perfetto esempio dell’attrazione
che l’universo cinematografico hollywoodiano esercitò sulla società italiana durante il
ventennio fascista. La fascinazione profonda per il cinema americano coinvolse tutta la
popolazione indipendentemente dal grado d’istruzione e dalle appartenenze di classe e
fu capace di plasmare in maniera duratura e resistente l’immaginario collettivo di una
nazione nutrita di miti autarchici ma, allo stesso tempo, affamata di orizzonti, non solo
filmici, ben più ampi e coinvolgenti.
Il ruggito del Leone di Gian Piero Brunetta, pioniere negli studi di storia del cinema
italiano, si pone l’obiettivo di indagare i processi sociali ed economici che portarono
all’americanizzazione cinematografica dell’Italia fascista e focalizza la sua analisi, attenta
e ricca di spunti, su due oggetti di ricerca: da un lato la società negli anni di regime e il
suo rapporto con il grande schermo; dall’altro l’industria cinematografica statunitense e
la sua accorta politica di «colonizzazione» del vecchio continente, portata avanti con le
armi della pubblicità e del divismo. Attraverso l’esame di materiali «poveri» scarsamente
presi in considerazione, come le brochure pubblicitarie dei film, i borderò delle sale di
provincia, le rubriche cinematografiche e di posta dei rotocalchi popolari e dei periodici
di settore, l’a. ci conduce in un viaggio all’interno di un processo immaginifico collettivo
condiviso da milioni di persone. Un’esplorazione nella psiche degli italiani volta a
dimostrare come dinamiche inconsce personali si incontrassero con fenomeni economici
e culturali di portata non solo nazionale, dando origine a un universo di celluloide in cui
aspirazioni di realizzazione individuale e sempre più percepibili aneliti di cambiamento
e sentimenti di disaffezione per lo status quo esistente si fondevano inestricabilmente
orientando in maniera decisiva i modi di pensare del cittadino medio anche in anni di
pressante propaganda.
Furono gli uomini deputati a decidere delle sorti del cinema nazionale e il duce stesso
a permettere e, in alcuni casi, favorire la dipendenza per i volti e i mondi creati dagli
Studios, tramite una politica che si fece garante in più occasioni della stabilità dei rapporti
con il governo degli Stati Uniti e che solo con ritardo percepì la sotterranea inconciliabilità
dei messaggi provenienti da Hollywood con gli imperativi della svolta totalitaria.
La legge sul monopolio del 1938 ridusse notevolmente l’afflusso di pellicole americane
nelle sale, ma lo scontro fra Mussolini e Greta Garbo per il controllo delle coscienze aveva
oramai un vincitore non dichiarato che le sconfitte del regime, ancor prima che militari,
nella fascistizzazione degli italiani renderanno indirettamente palese.

Maurizio Zinni