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Il Tesoro del Sultano. L’Italia, le grandi potenze e le finanze ottomane, 1881-1914

Giampaolo Conte
L’Aquila, Textus, 345 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione: 2018

Lo sfondo nel quale la ricerca presentata in questo libro si dipana è l’agonia dell’Impero ottomano con un focus speciale sul periodo 1881-1914. Si tratta di un trentennio fonda- mentale per il cosiddetto malato del Bosforo che vincolato da trattati precedenti, strangolato dal suo deficit, danneggiato dal contrabbando, fu costretto a ricorrere a prestiti e concessioni che ne limitarono la sovranità economica. Il governo ottomano si ritrovò nelle condizioni di non poter aumentare neppure i dazi doganali senza l’autorizzazione delle potenze straniere che a loro volta attraverso l’Amministrazione del debito pubblico (Adpo) arrivarono a gesti- re direttamente anche una quota importante delle entrate di bilancio.
Un primo capitolo di ampio respiro ripercorre la lunga strada verso il fallimento, tra il 1774 e il 1875, delineando anche il quadro degli interessi europei nell’Impero; un affresco molto utile per il lettore perché l’a. risale fino al trattato di Kuciuk-Kainargi, per spiegare i vari aspetti della presenza economica occidentale. Il capitolo contiene anche un’accurata analisi della crisi finanziaria ottomana e delle dinamiche alla base della domanda di prestiti esterni nel periodo precedente l’Adpo. L’a., inoltre, analizza le origini e l’attuazione dell’Amministrazione del debito pubblico. Si trattava di un organismo sovra- statale che gestiva il 20 per cento delle entrate totali dell’Impero nel quale l’influenza della Francia – che nominava i 2/3 dei suoi dirigenti – era preminente. Con il tempo l’azione dell’Adpo si estese ben oltre i limiti tracciati dal decreto del sultano.
Il centro del volume, tuttavia, è costituito dalla ricostruzione del ruolo dell’Italia nel- la gestione del debito pubblico ottomano, con le relative implicazioni di natura politico- diplomatica ma anche e soprattutto economica e finanziaria.
Nella sua analisi molto dettagliata degli interessi economici e finanziari italiani sono evidenziati i limiti della politica di penetrazione economica nell’Europa sud-orientale e le ragioni del suo parziale successo. L’a. usa un approccio eclettico che tenta di intrecciare l’aspetto politico-diplomatico con quello economico. Va notato che non restringe il suo studio al binomio italo-ottomano, ma affronta l’insieme dei problemi generali – sia di natura finanziaria che di politica internazionale – che emersero nella gestione italiana del debito pubblico ottomano.
Un indiscutibile merito dell’a. è la chiarezza della sua esposizione. Valga un solo esempio: la presentazione articolata e chiara del caso spinoso relativo all’unificazione del debito ottomano negli anni 1903-1906.
La portata della documentazione è impressionante: accanto ai fondi tradizionali de- gli archivi diplomatici di Roma, Parigi, Londra e Istanbul, sono stati sfruttati numerosi altri archivi statali e privati europei, gli archivi consolari, svariati archivi bancari, gli archivi della Camera di Commercio di Roma, ecc. Alle carte originali va aggiunta una ricca e sistematica Bibliografia che permette all’a. un fruttuoso confronto con gli studiosi italiani e stranieri che avevano già affrontato l’argomento.

Rudolf Dinu