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Il tramonto della Repubblica dei partiti. Diari 1985-1989

Antonio Maccanico
Bologna, il Mulino, 563 pp., € 36,00

Anno di pubblicazione: 2018

Tra le fonti documentarie indispensabili per addentrarsi nei meccanismi profondi e nelle dinamiche di funzionamento più recondite del sistema dei partiti nel periodo degli anni ’70 e ’80, i diari di Maccanico si distinguono per ampiezza della visuale, prolificità d’informazioni, ricchezza di materiali di riflessione.
Come il primo volume, dedicato agli anni del Quirinale, anche questo secondo – che copre l’arco cronologico 1985-1989 – curato da Paolo Soddu e impreziosito dalla Prefazione di Sabino Cassese, fornisce infatti una minuta, dettagliatissima mappa del labirinto politico-istituzionale nel quale la classe dirigente della Prima repubblica era solita muoversi e confrontarsi, cercare punti di equilibrio e rivaleggiare per costruirne di nuovi. Un labirinto divenuto via via sempre più contorto negli anni che preludono alla crisi finale del sistema politico, segnata dalla tendenza alla disgregazione – se non proprio alla decomposizione – del potere pubblico e dal determinarsi di un patologico intreccio tra poteri di natura diversa (economica, istituzionale, finanziaria, partitica) destinato a generare conflitti endemici lungo il confine sempre più mobile e incerto tra pubblico e privato, tra Stato ed economia, tra potere de iure e potere de facto.
Di questa sempre più complessa e disordinata struttura politica e sociale del potere italiano Maccanico fu alchimista discreto e paziente, guidato dal principio realistico che la sola forma di governo praticabile al fine di garantire al paese un ordinato e costante progresso fosse quella di una prudente e calibrata opera di mediazione elevata a «sistema».
Dentro questa logica di fine tessitura, la diplomazia di Maccanico sortì in effetti, come emerge bene dai diari, alcune delle più audaci risoluzioni dei nodi critici – uno su tutti quello del rapporto funzionale tra banche e politica, cresciuto lungo l’intreccio pubblico-privato del sistema Iri e delle relazioni ibride tra le tre banche di interesse nazionale e il motore immobile aristotelico del capitalismo famigliare italiano, la Mediobanca di Enrico Cuccia – che s’erano via via stretti nel corso degli anni ’80, sullo sfondo della incipiente globalizzazione economica e finanziaria dei mercati e dell’accelerazione, su basi neoliberiste, del processo di integrazione europea. Un orizzonte che invero i diari illuminano poco, lasciando qualche legittimo dubbio sulla esatta percezione e sulla capacità di comprensione che i protagonisti di quella sublime «arte del non governo» ebbero, al fondo, di processi destinati a cambiare in modo duraturo e radicale la natura, il ruolo e la funzione dello Stato contemporaneo.

Andrea Guiso