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Israele. Sogno e realtà dello Stato ebraico. L’identità nazionale tra eccezione e normalità

Michael Brenner
Roma, Donzelli, 235 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il volume di Michael Brenner, professore di storia ebraica all’università di Monaco, ruota attorno alla questione se Israele sia o meno «uno Stato come un altro», per citare il sottotitolo dell’Introduzione. L’a. finisce per non dare una risposta, ma si limita a ricostruire la «contraddizione interna tra l’aspirazione alla normalità e la rivendicazione di unicità» (p. XIV) che ha caratterizzato Israele sin dalla nascita del sionismo. L’obiettivo di quest’ul- timo era la normalizzazione del popolo ebraico, rendere cioè gli ebrei «padroni del loro stesso destino, come tutte le altre nazioni, nel loro proprio Stato sovrano», come si legge nella Dichiarazione di indipendenza del 1948. Eppure, tale desiderio di «normalità» si scontrò da subito con la percezione dell’«eccezionalità» dello Stato ebraico. Già Theodor Herzl nel proprio Der Judenstaat sognava di costruire «un paese modello per esperimenti sociali […], una terra miracolosa per ogni tipo di cultura» (p. 29). Ma fu soprattutto David Ben Gurion a essere convinto che Israele avesse un «ruolo di nazione-modello» (p. 117), ad esempio nei confronti dei paesi più poveri, a molti dei quali il governo israeliano fornì concretamente assistenza tecnologica.
Israele si è percepito al contempo come uno Stato normale ed eccezionale anche in riferimento a due temi controversi: le relazioni con la diaspora ebraica, e il rapporto tra cittadini ebrei e non ebrei. Se per il sionismo la nascita di uno Stato ebraico avrebbe dovuto portare alla fine della diaspora, in realtà ciò non si è mai verificato. Alla visione «palestinocentrica» di Ben Gurion (p. 118), Nahum Goldmann, presidente del Congres- so ebraico mondiale tra il 1948 e il 1977, contrapponeva quella in cui non solo la diaspora ebraica avrebbe continuato ad esistere, ma avrebbe portato avanti quei valori universali che il popolo ebraico aveva incarnato per secoli e che il «miope realismo di alcuni gruppi in Israele» rischiava di perdere (p. 120).
La questione del rapporto tra ebrei e non ebrei – così come quella relativa alla definizione di chi fosse ebreo – è stata ancora più divisiva. Sebbene la ricordata Dichiarazione di indipendenza prevedesse l’uguaglianza di tutti i cittadini, la realtà fu decisamente diversa perché «alcuni […] erano più uguali degli altri» (p. 131). Come conciliare infatti l’essere al contempo «Stato ebraico e democratico», secondo la definizione di Israele data da varie Leggi fondamentali? Sebbene la versione originale del volume sia uscita nel 2016, prima dell’adozione della «Legge fondamentale: Israele come lo Stato-nazione del popolo ebraico» nel luglio 2018, i segnali di una progressiva prevalenza dell’elemento ebraico su quello democratico a discapito dell’uguaglianza tra cittadini ebrei e non ebrei erano già allora molto evidenti. Eppure l’a. dimentica di sottolineare quanto ciò abbia aumentato l’eccezionalismo di Israele a detrimento della sua normalità di democrazia costruita sul modello delle democrazie occidentali, che fanno della piena uguaglianza di tutti i cittadini un elemento imprescindibile.

Arturo Marzano