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Ivan Foletti (a cura di) – La Russie et l’Occident. Relations intellectuelles et artistiques au temps des révolutions russes – 2010

Ivan Foletti (a cura di)
avec la collaboration de Valentine Giesser et Ilaria Molteni, Roma, Viella, 223

Anno di pubblicazione: 2010

Il tema storiografico «Russia-Occidente» è troppo vecchio per reggersi in piedi da solo ma è anche troppo importante per essere lasciato cadere, e molti si impegnano a reinventarlo in forme nuove. Qui siamo di fronte a testi molto diversi tra loro – in francese, eccetto due in italiano – che pongono al centro dell’interesse l’elemento artistico-culturale, inteso nel senso più ampio (si spazia dalla recezione russa dell’arte bizantina all’immagine di Dante nella Russia d’inizio ‘900, da Matisse e le icone all’arrivo del cinema sovietico in Svizzera), ma che nel loro nucleo principale (I. Folletti su Kondakov, E. Velmezova sui linguisti russi, X. Muratova su Pavel Muratov, L. Heller su Zamjatin) riescono a condurre un discorso piuttosto interessante sull’emigrazione intellettuale russa degli anni ’20. Il punto di vista comune agli undici collaboratori (russi, francesi, italiani e svizzeri) è quello del più classico neo-occidentalismo, secondo il quale, come afferma il curatore del volume, dopo la rivoluzione del 1905 non ha più senso parlare di «Russia e Europa», perché da quel momento «nel mondo intellettuale, la Russia è l’Europa» (p. 44). Si tratta di un’affermazione molto moderata, poiché naturalmente la Russia era Europa anche prima, e anche al di fuori del mondo intellettuale, ma che spiega bene le contraddizioni di questo vecchio tema. L’esempio più interessante è quello di N.P. Kondakov, al quale è appunto dedicato il saggio di Foletti. Conservatore dell’Ermitage negli ultimi decenni dell’800 e professore nell’Università della capitale dell’impero, egli fu di fatto il fondatore della moderna storia dell’arte in Russia, dalla quale emigrò nel 1920. Noto per la sua fede nella superiorità dell’arte tradizionale, strumento della religiosità del popolo, su quella occidentale, nel secondo decennio del ‘900 egli cominciò però a sostenere che l’arte italiana del ‘300, attraverso l’influenza esercitata su quella bizantina, fosse in realtà alla base della migliore produzione di icone. Nello scontro che ne seguì con il sinodo ortodosso, egli finì per chinarsi a scrivere che gli storici dell’arte cattolici o protestanti (cioè occidentali; per l’Italia, tra l’altro, in diretta polemica con Adolfo Venturi) non potevano capire il popolo russo. Non è quindi di poco interesse il fatto che, giunto in emigrazione, Kondakov cominciasse invece a condannare l’«animo barbaro» di un popolo russo che in realtà «non comprendeva se stesso» (p. 34). Convinto che la Russia lo avesse abbandonato, e non il contrario, nelle memorie pubblicate postume a Praga dichiarò anzi che avrebbe ben volentieri rivissuto la propria vita, a patto di non nascere in Russia. Come mostra anche il suo caso, il tema «Russia-Occidente» illumina spesso in modo originale mondi politico-culturali che troppo facilmente credevamo di avere compreso.

Antonello Venturi