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James L. Gelvin – Il conflitto israelo-palestinese. Cent’anni di guerra – 2007

James L. Gelvin
Torino, Einaudi, IX-362 pp., Euro 19,50 (ed. or. Cambridge-New York, 2007)

Anno di pubblicazione: 2007

Nonostante esistano già numerosi libri sul conflitto israelo-palestinese, è certamente da apprezzare la scelta di Einaudi di pubblicare in italiano questo testo, uscito in inglese nel 2005. Gelvin, professore di storia del Medio Oriente alla UCLA, ha, infatti, scritto un volume ottimo, molto chiaro, approfondito ma sintetico, soprattutto equilibrato. Caratteristica, quest’ultima, troppo spesso assente dai libri che affrontano tale argomento.Il volume è diviso in dieci capitoli e affronta in ordine cronologico i molti eventi di questi cento anni di conflitto, partendo da fine ‘800 e arrivando sino alla guerra tra Israele e Hizballah nell’estate 2006. Il nucleo centrale, come l’a. afferma nella nota introduttiva, è rappresentato dalla trattazione «della creazione, dell’evoluzione, dell’interazione, della reciproca definizione di due comunità nazionali» (p. VII), impegnate a creare un proprio Stato nella poca terra a disposizione, la Palestina – Eretz Israel. Gelvin è giustamente convinto che la motivazione principale del conflitto sia la volontà di garantirsi «la proprietà della terra» (p. 5). Ed è per questa ragione che il libro si apre con il capitolo Il richiamo della terra, considerato un elemento centrale sia nella costruzione dei due movimenti nazionali, sia nella loro auto-narrazione storica.Partendo dalla diffusione dei nazionalismi in Europa, Gelvin racconta la nascita del sionismo, la realizzazione – accogliendo l’interpretazione di Gershon Shafir (p. 91) – del suo progetto di colonizzazione, la creazione delle istituzioni dell’Yishuv, il ruolo crescente della destra laica e religiosa nella vita politica israeliana a partire dal 1967. All’interno di tale analisi, Gelvin non tralascia l’accenno ad un aspetto molto controverso e dibattuto, il ruolo che l’archeologia, «lo sport nazionale d’Israele» (p. 15), ha avuto nel costruire la narrazione sionista e, più recentemente, nel giustificare l’occupazione della Cisgiordania e la diffusione degli insediamenti.Parallelamente, Gelvin ricostruisce la storia del nazionalismo palestinese, a partire – in linea con gli studi di Bishara Doumani (p. 45) – dalle trasformazioni socio-economiche avvenute in Palestina a metà ‘800, passando per la prima guerra mondiale, il mandato inglese, la «dispersione e l’esilio» (p. 176) successivi alla naqba, la vittoria di Fatah all’interno dell’OLP anche grazie all’«onore» vendicato nella battaglia di Karameh (p. 259), fino all’intifada e all’affermazione di Hamas. Un aspetto molto interessante, su cui Gelvin si sofferma, è il ruolo che dagli anni ’30 l’Islam ha avuto nel «nazionalismo palestinese di matrice popolare», tanto da fornire a questo «immagini e vocabolario» (pp. 139-140), come dimostra l’uso diffuso dell’appellativo shahid (martire), attribuito tuttora a chiunque muoia combattendo per la causa palestinese.Un ultimo pregio del volume è rappresentato da alcuni strumenti, che permettono al lettore una migliore comprensione delle vicende: varie cartine, un glossario, una cronologia, un elenco biografico dei protagonisti e, soprattutto, una serie di approfondimenti bibliografici ragionati alla fine di ogni capitolo.

Arturo Marzano