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John Bukovský ( a cura di Francesco Strazzari) – Chiesa del martirio, Chiesa della diplomazia. Memorie tra Cecoslovacchia e Vaticano – 2009

John Bukovský ( a cura di Francesco Strazzari)
Bologna, EDB, 100 pp., euro 8,00

Anno di pubblicazione: 2009

Vi sono diversi motivi per segnalare queste brevi memorie autobiografiche. Il loro autore è infatti un rilevante attore dell’Ostpolitik vaticana, un diplomatico di passaporto statunitense ma originario della Slovacchia, approdato nel 1972 alla Segreteria di Stato vaticana e divenuto in breve tempo come profondo conoscitore della situazione del cattolicesimo cecoslovacco uomo di assoluta fiducia di Casaroli e del suo sostituto Silvestrini. Nel 1990 l’a. divenne nunzio apostolico in Romania e successivamente in Russia, ed ebbe modo di osservare i profondi cambiamenti del rapporto Stato-Chiesa in due nazioni a maggioranza ortodossa. Il secondo motivo di interesse è di natura interpretativa: senza discostarsi dalla linea casaroliana sull’apertura ad Est come passo necessario per la salvezza delle comunità cattoliche soggette ai regimi di tipo sovietico, fissata con chiarezza nel volume pubblicato nel 2000 da Einaudi, l’a. fornisce con discrezione e finezza diversi elementi utili a una discussione più informata sulle finalità e gli esiti dell’Ostpolitik. La Cecoslovacchia era il paese del blocco comunista in cui la politica religiosa e in particolare anticattolica del regime comunista conservò sino al 1989 i tratti più dogmatici e intolleranti. All’ateismo di Stato si univano due fattori contingenti: la questione slovacca, dove una Chiesa resistente e fortemente radicata tendeva a distinguersi da quella di Praga per la sua chiara identificazione con il movimento nazionale slovacco e, associata alla prima, il problema delle comunità cattoliche clandestine sviluppatesi parallelamente e in antitesi alla chiesa «ufficiale» e al movimento «Pacem in terris». La difficoltà di operare in un simile contesto emerge con forza nel momento culminante dell’Ostpolitik nei confronti della Cecoslovacchia, la nomina di quattro vescovi per la Slovacchia nel 1973: un atto storico ma controverso negli effetti. L’a. non esita a mostrare perplessità nei confronti di un accordo che portò ai vertici di importanti diocesi personaggi deboli e manipolati dal regime (pp. 48-49). Nel VII capitolo dedicato alla Chiesa del silenzio traspare chiaramente l’imbarazzo del diplomatico vaticano di origine slovacca nei confronti dei dissidenti, le cui ragioni comprendeva ma le cui ordinazioni clandestine di sacerdoti e vescovi non poteva appoggiare in quanto esse minacciavano il filo del dialogo con le autorità comuniste intessuto attraverso l’ufficio dei culti. Uno spunto di interesse riguarda la testimonianza sul netto cambio di rotta della strategia nei confronti dell’Est europeo con papa Giovanni Paolo II (pp. 68-69). L’8 marzo 1982 la Congregazione dei vescovi pubblicò la dichiarazione Quidam episcopi, che condannava ogni associazione religiosa che sostenesse l’ideologia di uno Stato ateo. Il provvedimento colpì direttamente «Pacem in terris», dal quale dovettero dimettersi sacerdoti e vescovi, e secondo Bukovský costituì un segnale di riscossa del mondo cattolico in quanto causò panico e incertezza nelle autorità cecoslovacche, abituate ormai a un atteggiamento remissivo da parte della Santa Sede.

Stefano Bottoni