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KL. Storia dei campi di concentramento nazisti

Nikolaus Wachsmann
Milano, Mondadori, 882 pp., € 45,00 (ed. or. New York, Farrar, Straus and Giroux, 2015, traduzione di Sara Crimi, Francesco Peri, Laura Tasso)

Anno di pubblicazione: 2016

Il volume si propone come un tentativo di sintesi interpretativa delle complesse vicende che hanno accompagnato la vita dei campi di concentramento nazisti dal loro sorgere nel 1933, sino alla loro dissoluzione, alla fine del conflitto. L’a. chiarisce infatti che «la ricchezza di studi specialistici ha enormementeammentato il quadro dei campi di concentramento […] [e che] guardare gli studi accademici attuali è come osservare un puzzle non assemblato, con nuovi pezzi che vengono aggiunti continuamente» (p. 14).
L’opera presenta un ulteriore valore aggiunto per l’Italia: la possibilità per il lettore comune di fruire di uno studio puntuale, aggiornato e competente su questioni solo parzialmente accessibili a chi non conosca il tedesco. L’approccio metodologico è quello di una «storia integrata dell’Olocausto», sulla scia del tentativo di Saul Friedländer di coniugare all’analisi della macchina deportativa il punto di vista delle vittime. Il testo è percorso dalla problematizzazione di aspetti assai complessi, quali il grado di conoscenza e di complicità della popolazione tedesca relative all’esistenza dei KL e la possibilità di paragonare altre esperienze coeve e precedenti di carcerazione dei nemici interni e esterni in Europa e nel mondo a quella dei lager nazisti.
L’a. restituisce l’intero arco di vita dei KL, mostrandone continuità e fratture e smitizzando l’idea diffusa secondo cui Auschwitz sarebbe stato sin dagli esordi connesso alla Shoah; ricorda infatti che in origine il centro slesiano era stato concepito per ospitare prigionieri sovietici da impiegare nel lavoro coatto. Solo quando l’ipotesi si rivelò illusoria si pensò di mandarvi al loro posto gli ebrei, inizialmente non destinati allo sterminio immediato. Dall’estate del 1942 cominciarono le famigerate selezioni dei destinati all’uccisione immediata (si trattò dell’80 per cento) e dei destinati al lavoro coatto (il restante 20 per cento). Ma «fu soltanto nel corso del 1943 – quando Belzec, Sobibor e Treblinka […] avevano compiuto la loro missione di uccidere gran parte degli ebrei del Governatorato generale, […] che Auschwitz divenne il centro operativo dell’Olocausto» (p. 321).
L’a. dimostra con efficacia la continua sovrapposizione di logiche contrapposte all’interno dei KL e in particolare a partire dal 1942, quando alla esigenza di uccidere gli ebrei si affiancò prepotentemente anche quella di utilizzarli per l’impiego nella produzione bellica: «economia e sterminio erano due lati di una stessa medaglia, due condizioni necessarie per la vittoria» (p. 359). Il testo si chiude con un Epilogo, che prolunga l’analisi al secondo dopoguerra e tocca temi quali i processi ai criminali di guerra e i risarcimenti alle vittime dei KL. L’opera è indubbiamente bella e interessante, ma l’ansia di racchiudere in un solo volume tematiche di enorme complessità fanno cadere a volte l’a. in eccessive semplificazioni, che riconducono il lettore a luoghi comuni e, in particolare, alla vulgata che di fatto in Germania i conti col nazismo non siano mai stati fatti veramente.

Giovanna D’Amico