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Kriminell, korrupt, katholisch? Italiener im deutschen Vorurteil

Klaus Bergdolt
Stuttgart, Franz Steiner, 243 pp., € 14,00

Anno di pubblicazione: 2018

Gli storici hanno da tempo preso atto della presenza ingombrante dei pregiudizi nel- le percezioni reciproche tra italiani e tedeschi e nei rapporti politici tra Italia e Germania: essa viene generalmente spiegata come la somma delle grandi esperienze collettive che hanno segnato le relazioni tra gli abitanti dello stivale e le popolazioni di lingua tedesca, sia nella fase antecedente l’unificazione nazionale, sia dopo che questa si è conclusa.
Con questo volume l’a., già direttore del Centro tedesco di studi veneziani e docente di Storia ed etica della medicina all’Università di Colonia, si propone di illustrare le radici dei pregiudizi antitaliani che sono ancora oggi presenti nella cultura tedesca. Passando al setaccio vari tipi di fonti (opere letterarie, saggi scientifici, pamphlet, memorie, diari di viaggio, corrispondenze private di alcuni dei maggiori conoscitori della penisola, guide turistiche, dizionari, etc.), egli riesce agevolmente a dimostrare che il diffuso pregiudizio antitaliano nella cultura tedesca non può essere considerato come un fenomeno contingente. Il senso di superiorità (Überlegenheitsgefühl) dei tedeschi nei confronti degli italiani, nelle sue molteplici declinazioni, deve piuttosto essere compreso come il prodotto di una serie di processi culturali di respiro secolare che possono essere fatti risalire al Medio- evo. D’altra parte, e come altri studiosi prima di lui, l’a. scorge una radice importante del pregiudizio tedesco antitaliano nella riforma luterana e, in particolare, nella diffusione di un topos religioso-confessionale, storico-politico e letterario, basato sull’idea di un’insuperabile dicotomia tra la corruzione cattolica di Roma e, dunque, dell’Italia, e il moralismo della Germania protestante.
L’ a. mostra anche come talvolta furono gli stessi illustri estimatori dell’Italia, a cominciare da Johann Wolfgang Goethe, con le loro denunce impietose delle condotte amorali degli abitanti della penisola, a veicolare una visione stereotipata degli italiani come criminali e corrotti, corroborando le ragioni, fondate o meno, del pedagogismo nordico. Soprattutto nel corso dell’800, secolo al quale l’a. dedica particolare attenzione, tale disposizione culturale a collocare italiani e tedeschi agli antipodi di un’ipotetica scala di caratteri nazionali avrebbe tratto ulteriore alimento dalla diffusione di tesi, permeate dal positivismo antropologico e dal determinismo geografico, che si basavano sull’idea di un’irriducibile contrapposizione tra il «mondo latino» e il «mondo germanico».
Il XX secolo, con le due guerre mondiali, il nazifascismo e il successivo esperimento di integrazione europea, rimane invece sullo sfondo di una ricostruzione che ci restituisce un ritratto, ancorché ricco dal punto di vista delle evidenze empiriche apportate, poco articolato sul piano analitico-interpretativo e piuttosto impressionistico di come gli italiani e l’Italia siano stati a lungo percepiti nella cultura tedesca.

Gabriele D’Ottavio