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La diga delle vedove. Sopravvissuta all’inferno dei Khmer Rossi

Denise Affonço
Roma, Aracne, 2014, € 14,00, 188 pp. (ed. or. Paris, 2005, traduzione di Guido Lenzi)

Anno di pubblicazione: 2014

La memorialistica sulla Cambogia dei Khmer rossi si arricchisce di questo testo,
tradotto in italiano di recente, di Denise Affonço (caso esemplare di cittadina francese
prodotto del meticciato etnico che contraddistingueva l’Indocina). Il libro giunge, nel panorama
italiano, dopo volumi affascinanti e terribili come quelli di François Bizot, Il cancello,
di Ong Thong Hoeung, Ho creduto nei Khmer rossi, e di Claire Ly, Tornata dall’inferno.
La vicenda sconvolgente di una donna sopravvissuta all’orrore dei Khmer rossi. Oltre al
primo e antesignano: Molyda Szymusiak, Il racconto di Peuw bambina cambogiana.
La storia di Denise Affonço è, dunque, già stata scritta. Ma non per questo si tratta
di una vicenda meno toccante; anzi, nella cronaca terribile dei quattro anni vissuti nelle
mani dell’Angkar, l’organizzazione della fazione comunista di Pol Pot, Denise Affonço
precipita nella bolgia della Cambogia dei Khmer rossi conoscendo le condizioni disumane
di uno dei peggiori regimi del XX secolo. La privazione del cibo, le torture, le esecuzioni
sommarie, le violenze quotidiane, le malattie, il bestiale sfruttamento del lavoro, la
paura, la delazione, l’indottrinamento dei bambini, l’accanita persecuzione di cui sono
vittima tutti (e soprattutto coloro ritenuti legati al «vecchio» mondo, gli intellettuali e
i borghesi) rinviano all’universo concentrazionario dei gulag e dei lager. Il racconto di
Denise Affonço, soprattutto, non è privo di notazioni originali che rendono più vivide
le fasi di quella che è stata la vera tragedia di un intero popolo, illuminando nella sua
concretezza il carattere efferato del regime dei Khmer rossi, dalla deportazione da Phnom
Penh, nell’aprile 1975, fino alla liberazione all’inizio del 1979.
Il testo, tuttavia, non va oltre il pregio pur grandissimo della memoria: scarse le
notazioni che permettano di intendere il senso degli eventi. Quasi imperscrutabili, e ciò
è comprensibile, le dinamiche interne al movimento comunista Khmer che la Affonço
percepisce negli ultimi mesi della sua pena; indecifrabili le ragioni degli Stati e della politica
internazionale in quegli anni. Assente l’approfondimento di temi come il carattere
ipernazionalistico della fazione di Pol Pot e della natura del suo radicalismo. A discolpa
dell’a., però, il fatto che non ci si attende questo da una testimonianza. Si avverte invece
l’assenza di una introduzione più organica ed eventualmente di un apparato di note al
testo più completo. Il volume si segnala purtroppo per le troppe distrazioni (la presa di
Phnom Penh viene indicata nel volgere delle pagine nel 1974, poi nel 1975 e anche nel
1976), per qualche errore ortografico, per una traduzione francamente inadeguata.

Francesco Montessoro