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La diplomazia del dialogo. Italia e URSS tra coesistenza pacifica e distensione (1958-1968)

Alessandro Salacone
Roma, Viella, 420 pp., € 35,00

Anno di pubblicazione: 2017

Nel decennio 1958-1968, le relazioni con l’Urss rappresentarono un elemento del
più complessivo cambiamento che attraversò l’Italia del periodo. In quella stagione si
fronteggiarono, sia sul piano della politica interna che su quello dell’azione internazionale,
concezioni assai diverse. In politica estera il tradizionale allineamento agli Stati Uniti,
così come era stato concepito negli anni degasperiani, venne di fatto sorpassato dall’evoluzione
della guerra fredda verso un «disgelo» che apriva la strada a un più intenso dialogo
tra le superpotenze.
A questo mutamento corrispose una diversa collocazione del Partito comunista italiano.
Botteghe Oscure, pur non rinunciando ufficialmente alla sua natura marxista-leninista
e al suo ruolo di opposizione principale del governo, prese sempre più le sembianze
di una forza costituzionale tutt’altro che antisistema. Tutto questo, secondo l’a., spinse il
governo italiano – la cui maggioranza stava evolvendo verso un centro-sinistra «organico»,
cioè con la diretta partecipazione del Psi – a dare vita a una politica estera «“creativa” e
“originale”» di cui il «fattore URSS» divenne un cardine (p. 11).
I protagonisti di questa svolta furono senz’altro Fanfani e Moro, leader che, in pochi
anni, dettero un nuovo volto alla politica italiana. Il primo, sotto l’influenza di Giorgio
La Pira, disegnò un inserimento dell’Italia nel clima della distensione che ne valorizzasse
gli interessi e l’originalità del contributo. I «nuovi» rapporti con Mosca divennero uno dei
pilastri su cui si fondò la sua impostazione della politica estera insieme al Mediterraneo,
all’amicizia con il mondo arabo e alle relazioni con gli Stati di nuova indipendenza. Tutto
ciò, per Fanfani, non era antagonistico con la natura atlantica ed europeistica – così
come era stata pensata da De Gasperi – della collocazione internazionale di Roma. Era
un completamento, un naturale sviluppo, legato anche alla nuova dimensione di potenza
economica di livello mondiale che l’Italia si stava conquistando sui mercati.
Moro, anche in collaborazione diretta con lo statista aretino negli anni 1965-1968,
proseguì questa traiettoria arricchendola con la sua tradizionale attenzione all’influenza
che avrebbe potuto esercitare sul quadro politico interno. Furono queste le diverse versioni
di quella «politica dei ponti» (p. 23) che fu la caratura dell’Italia sulla ribalta della
guerra fredda negli anni della distensione.
L’interesse per questo volume è anche determinato dall’utilizzo di documentazione
sovietica assolutamente inedita per la storiografia italiana. Da questa fonte emerge la ricezione
che al Cremlino si ebbe dell’evoluzione della politica estera italiana. Essa era un aspetto
importante delle relazioni dell’Urss con l’«altra» Europa; ma pur sempre secondario rispetto
a quello rappresentato da altre realtà, come la Francia o la Rft. L’asimmetria delle relazioni
bilaterali – tema che attraversa tutto lo studio – sottolinea ancora una volta l’eredità del
dopoguerra italiano: i limiti imposti dall’essere una media potenza.

Luca Riccardi